La Color Run presenta i sintomi tipici delle febbri postreme

Antonio Gurrado
Inevitabilmente ideata in America, in nessun angolo del mondo questa corsa ha tanto successo quanto ne riscuote in Italia, altrettanto inevitabilmente: a sudditi caciaroni non può che piacere una corsa durante la quale saranno "cosparsi, a ogni km, dalla testa ai piedi di colori.

Un giorno non lontano, quando saremo finiti, ricordiamoci della Color Run. Non dico che questa corsa non competitiva di 5 km, sponsorizzata da Benetton e caldeggiata da Rcs, sia responsabile della nostra decadenza; dico solo che presenta sintomi tipici delle febbri postreme. Li trovate elencati nel regolamento ufficiale. Confusione fra fitness e felicità (“promuove il benessere, la felicità e l'armonia”); rifiuto dell'agonismo e pertanto della gerarchia, anzi, rinuncia alle possibilità di vittoria per timore della sconfitta (“i partecipanti non devono raggiungere la migliore prestazione sportiva”); ossessione per l'ecologia a discapito dell'economia (i colori sono eco-friendly, addirittura commestibili, ma viene suggerito di “non utilizzare vestiti che corrano il rischio di rovinarsi”); trionfo dell'Inglese per nobilitare concetti che in Italiano suonano ridicoli (“The Color Run è una fun run”).

 

Inevitabilmente ideata in America, in nessun angolo del mondo questa corsa ha tanto successo quanto ne riscuote in Italia, altrettanto inevitabilmente: a sudditi caciaroni non può che piacere una corsa durante la quale saranno "cosparsi, a ogni km, dalla testa ai piedi di colori, per giungere tutti colorati all'arrivo dove avrà poi inizio un'indimenticabile festa di musica e di colori”. Organizzatori, sponsor, uffici stampa e podisti non sono responsabili della variopinta decadenza che portano di corsa in giro per l'Italia, da Torino e a Venezia, da Bari a Lignano Sabbiadoro; forse non ne sono neanche consapevoli. Romolo Augustolo non sospettava minimamente di essere l'ultimo.

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