Fiorello (foto LaPresse)

Così Fiorello insegna a Gramellini che la nuda realtà dei fatti è meglio della narrazione ricamata

Antonio Gurrado
Per capire qualcosa dell’insondabile mestiere di giornalista, leggete con attenzione l’intervista di Massimo Gramellini a Fiorello. I due sono legati dal premio È Giornalismo, detenuto dal corsivista della Stampa e di cui domani verrà insignito lo showman.

Per capire qualcosa dell’insondabile mestiere di giornalista, leggete con attenzione l’intervista di Massimo Gramellini a Fiorello. I due sono legati dal premio È Giornalismo, detenuto dal corsivista della Stampa e di cui domani verrà insignito lo showman. Rappresentano ciò nondimeno due modelli estremi della professione, se non titanici: quello di chi va sinteticamente al succo dei fatti senza tante cerimonie e quello di chi la spettacolarizza ricamando. Leggete e imparate. Fiorello racconta di avere esordito in radio dopo essersi trasferito a Milano su suggerimento del fratello di Jovanotti, animatore turistico come lui: “Andiamo lì, disse, è pieno di gnocca”.

 

Subito Gramellini lo interrompe per chiedergli quale fosse invece la vera motivazione del trasferimento, ma Fiorello risponde prontissimo: “Quella. Che Milano era piena di gnocca”. Grazie a queste frasi così scabre, che potrebbero incastonarsi in una pagina di Hemingway ma stonerebbero in “Fai bei sogni”, la nuda realtà dei fatti sopraffà la tentazione di trasformare il giornalismo in narrazione spettacolare; ci voleva Fiorello, per rinunciare alla pretesa di rendere gli uomini più sensati di quel che sono e le loro azioni simili alla trama meccanica di un romanzo scritto male.

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