Piazza San Pietro (foto LaPresse)

Perché alla chiesa servirebbe meno Teologia della comunicazione e più "sì, sì; no, no"

Antonio Gurrado
Leggo “Il brusio del pettegolo” di don Dario Edoardo Viganò (EDB) e quasi mi prende un infarto. L’autore insinua infatti che “il corpo ecclesiale sia oggetto di interesse da parte di soggetti enunciatori di rumors e, addirittura, di pianificazioni strategiche di rumors”. Addirittura.

Leggo “Il brusio del pettegolo” di don Dario Edoardo Viganò (EDB) e quasi mi prende un infarto. L’autore insinua infatti che “il corpo ecclesiale sia oggetto di interesse da parte di soggetti enunciatori di rumors e, addirittura, di pianificazioni strategiche di rumors”. Addirittura. Avanza perfino il sospetto che “al di là di quanto emerso pubblicamente” il caso Vatileaks “sia stato architettato ad arte”. Ma va’? Eppure, poche pagine dopo, don Viganò è adamantino nel dimostrare che buona parte dei contenuti riguardanti la Chiesa viene diffusa tramite “il racconto di un evento interpretato a partire da schemi cognitivi precedenti o dalle rappresentazioni sociali del gruppo di appartenenza”.

 

Caso mai non fosse chiaro, testi alla mano illustra come il Guardian avesse creato la famosa polemica su Benedetto XVI e l’inutilità dei preservativi in Africa citando brandelli delle dichiarazioni del Papa e poi lasciando che gli schemi cognitivi del gruppo dei lettori di sinistra, nell’ombra, facessero il proprio dovere. Si tratta di un tema di cui don Viganò capisce gran molto, essendo Prefetto della Segreteria per la comunicazione della Santa Sede e già direttore del Centro Televisivo Vaticano; allora perché nel resto del libro non mena lo scudiscio con la stessa chiarezza, rifugiandosi nella cautela delle ipotesi? Gesù diceva “Sia il vostro parlare sì, sì; no, no”; è vero anche che duemila anni fa non poteva seguire corsi di Teologia della Comunicazione, e nemmeno immaginare quanti vescovi sarebbero diventati entusiasti per l’istituto del referendum.