Idea per aggiornare l'usurato "Cattiva maestra televisione"

Antonio Gurrado
È trascorsa una trentina d’anni dai tempi in cui, quando ero piccolo e durante le cene in casa d’altri montavo capricci di cui io stesso intravedevo l’assurdità, immancabilmente qualcuno dei commensali si rivolgeva ai miei genitori decretando, in una smorfia mista fra critica e commiserazione: “Troppi cartoni in tv”.

È trascorsa una trentina d’anni dai tempi in cui, quando ero piccolo e durante le cene in casa d’altri montavo capricci di cui io stesso intravedevo l’assurdità, immancabilmente qualcuno dei commensali si rivolgeva ai miei genitori decretando, in una smorfia mista fra critica e commiserazione: “Troppi cartoni in tv”. Questo dello stigmatizzabile influsso dei cartoni animati è un magmatico filone bon à tout faire che ha vissuto la sua massima piena nel decennio compreso fra l’attecchimento delle reti commerciali e la morte di Karl Popper; quando chiunque, per far bella figura in salotto, ripeteva in ogni salsa “Cattiva maestra televisione” senza ardire spingersi oltre il titolo.

 

Di tanto in tanto gode d’inattesi revival: come ieri, quando una povera bambina giapponese è saltata dalla finestra per aver visto in un cartone un bambino che sapeva felicemente volare. Lei no. Ormai siamo nell’era delle emittenti dedicate alla trasmissione permanente di cartoni animati ventiquattr’ore su ventiquattro, con la stessa ossessiva protervia di una rete all news. Quando però un ragazzino si rifiuterà di mangiare la verdura, o piagnucolerà per non filare a letto, o pretenderà giocattoli imbarazzanti, di fronte all’evidenza di star allevando una generazione di egotici Icaro pronti a schiantarsi in massa pur di affermare l’intransigente desiderio di essere da subito padroni assoluti della propria vita a discapito del loro bene e dell’oggettiva realtà dei fatti, l’unico commento sensato che possa uscirci di bocca sarà: “Troppi diritti civili in tv”.

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