I medici inglesi contro i placcaggi nel rugby: basta contatti, fanno male

Antonio Gurrado
La pratica principale, caratteristica e più tecnica di questa fangosissima disciplina causa lesioni gravi e talora permanenti sui giovani corpi, scrivono, quando invece salute e sicurezza sono più importanti di vittorie e sconfitte.

Altro che Brexit o non Brexit: il colpo decisivo per il rimpicciolimento della Gran Bretagna è arrivato dai settanta medici firmatari di un appello volto a proibire il placcaggio nei tornei scolastici di rugby. La pratica principale, caratteristica e più tecnica di questa fangosissima disciplina causa lesioni gravi e talora permanenti sui giovani corpi, scrivono, quando invece salute e sicurezza sono più importanti di vittorie e sconfitte. Per questo, rifacendosi alla convenzione Onu per i diritti dei minori, incoraggiano una versione dello sport (anzi, “del gioco”) che non preveda contatto fisico. Era nell’aria che accadesse prima o poi, nell’isola in cui da anni si dibatte riguardo alla liceità del rugby scolastico che qualcuno vorrebbe sostituire con discipline più pacifiche e consapevoli: lo zumba, lo yoga.

 

Il presupposto è che il sistema dell’istruzione debba garantire agli alunni protezione assoluta anziché ragionevole esposizione al rischio calcolato. Consentire di giocare a rugby ma senza più placcare è un saggio compromesso nonché il primo passo che nelle scuole porterà a giocare a calcio senza porte, a polo senza cavallo, a cricket con palle di stoffa, a pallanuoto in piscine svuotate; e di lì a poco ad andare in bici con le rotelle, a ubriacarsi con l’orzata, a venire interrogati senza ricevere voti, a diplomarsi restando bambini.

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