Il ministro della Giustizia Andrea Orlando (foto LaPresse)

Il diritto (violato) all'informazione

Marco Valerio Lo Prete
L’Ocse, secondo un’indiscrezione raccolta dall’Ansa, avrebbe pronta una lettera da indirizzare al ministro della Giustizia e al presidente del Senato per chiedere informazioni sullo stop subìto dalla riforma della prescrizione contenuta nel ddl sul processo penale. Manuale, con prefazione di Antonio Campo Dall'Orto, contro il circo mediatico-giudiziario. Wow.

Roma. L’Ocse, secondo un’indiscrezione raccolta venerdì dall’Ansa, avrebbe pronta una lettera da indirizzare al ministro della Giustizia, Andrea Orlando, e al presidente del Senato, Pietro Grasso, per chiedere informazioni sullo stop subìto dalla riforma della prescrizione contenuta nel ddl sul processo penale. Quella riforma italiana, e con essa tutto il pacchetto sul processo penale, è ferma al Senato. Tutto è bloccato da settimane di mediazioni e da un serrato confronto a distanza tra l’Associazione nazionale magistrati (Anm) e l’esecutivo, con tanto di ipotesi (tramontata) di ricorso alla fiducia da parte del governo. La riforma, soprattutto perché prevede al suo interno anche una delega in materia di intercettazioni, riguarda indirettamente carta stampata e media in generale che non hanno mancato di schierarsi. D’altronde in Italia, quando si discute di intercettazioni, gli operatori della giustizia e quelli dell’informazione si ergono come gli unici legittimi interessati. Quasi a soprassedere sul ruolo del cittadino nella sua duplice veste di fruitore della giustizia e di fruitore dell’informazione.

 

E’ soprattutto per la sua capacità di correggere questa forma di strabismo che vale la pena segnalare un insolito libro appena pubblicato da Ruben Razzante, professore di Diritto dell’informazione all’Università Cattolica di Milano. Insolito, innanzitutto, perché non ha la forma del saggio o del pamphlet, ma quella più ponderosa del manuale. “Manuale di diritto dell’informazione e della comunicazione”, è infatti il titolo scelto dall’editore Wolters Kluwer per le 652 pagine. Insolito anche nel suo genere, però, visto che la dignità di trattato scientifico sul diritto dell’informazione non lo condanna all’aridità che invece caratterizza testi simili. Antonio Campo Dall’Orto, direttore generale della Rai, lo riconosce tra le righe della sua prefazione quando scrive che “nel contesto mediatico attuale, anche solo l’ambizione di fermare il flusso di cambiamenti ed evoluzioni repentine per fotografarle in un istante sembrerebbe fuori dalla portata di un singolo individuo. Ancor più difficile appare metter mano a un saggio, un manuale, che riesca al tempo stesso ad essere esaustivo e aggiornato”. Gli addetti ai lavori vi troveranno una miniera di utili riferimenti anche ai temi più innovativi, come il diritto all’oblio, la cancellazione e la contestualizzazione delle notizie in rete. Ma in questa sede, come si diceva, vale la pena osservare che forse c’era bisogno del giurista Razzante per ricordare che la vexata quaestio delle intercettazioni non è un affare a due tra attori della giustizia e dell’informazione, e che invece il protagonista è in ogni caso il cittadino dotato di diritti (al giusto processo, o alla riservatezza o a un’informazione degna di questo nome). L’autore infatti critica, norme e sentenze alla mano, “l’andazzo, tipicamente italiano, di allestire un vero e proprio circo mediatico-giudiziario alimentato dalla divulgazione di registrazioni riguardanti fatti irrilevanti commessi da terze persone, non coinvolte in indagini ma collegate anche solo incidentalmente ai protagonisti dei fatti”, e giudica tutto ciò “la cartina di tornasole di un rapporto perverso tra procure e giornali”.

 

“Anche a causa di un ricorso eccessivo della magistratura italiana allo strumento delle intercettazioni telefoniche, si è infatti assistito (e il fenomeno non può dirsi affatto arginato) a violazioni costanti e reiterate della privacy delle persone”. Scrive ancora Razzante che da una parte “il clima giustizialista che circonda molti casi di cronaca giudiziaria finisce per attribuire al magistrato un compito suppletivo rispetto a quello di far rispettare la legge, cioè quello, assolutamente improprio, di ergersi a tutore della morale”. Dall’altra parte, “la patologia del sistema editoriale italiano sta proprio nella crescente percezione di normalità che accompagna la pubblicazione indiscriminata di conversazioni private che, essendo spesso prive di rilievo penale, non vengono inserite nei fascicoli giudiziari e quindi dovrebbero essere distrutte anziché finire nella disponibilità di qualche giornalista”. Nel mezzo, spesso stritolato, sta il cittadino italiano dotato di diritti. Almeno sulla carta.