Lo spoglio dei voti del referendum sulla Brexit (foto LaPresse)

Minority Report

Il voto inglese ci insegna che la storia non è un processo ineluttabile

Giovanni Maddalena

Gli inglesi dimostrano a modo loro l’insofferenza verso le élite, votando contro gran parte dei due maggiori partiti e decretando una svolta decisiva per la storia del continente. Forse è la volta buona per ripensare l’Europa da cima a fondo?

 

Altro che Chiara Appendino e Virginia Raggi. Gli inglesi dimostrano a modo loro l’insofferenza verso le élite, votando contro gran parte dei due maggiori partiti e decretando una svolta decisiva per la storia dell’intero continente. Penso che dobbiamo essere loro grati per aver dimostrato che, buona o cattiva che la loro decisione debba risultare, la storia non è un processo ineluttabile a cui ci si può solo adeguare. In realtà, questo tipo di narrazione, molto in voga tra le élite, serve solo per giustificare i piani di alcuni e a svilire la libertà di tutti. Non è un caso che, a quanto dicono i social network, uno degli ottimati abbia affermato ieri che è assurdo che le persone comuni, poco istruite, possano decidere di temi tanto decisivi. E chi dovrebbe decidere, se non coloro che ne devono portare le conseguenze?

 

Quanto al merito della Brexit, forse, è la volta buona per ripensare l’Europa da cima a fondo. La considerazione più spicciola è chiara a tutti: si è fatta l’Europa dell’economia e, soprattutto, della finanza senza fare l’Europa della politica – estera, in particolare -, della difesa (non c’è esercito comune) e della cultura (non si è riusciti a mettere insieme una Carta costituzionale che fissasse gli elementi chiave di questa costruzione). Così, l’Europa si occupa della misura delle vongole che possono essere pescate e non riesce a prendere decisioni comuni sui migranti o sulla Siria. Forse è giunto il momento di una Costituente europea, eletta su base regionale, che provi a dettagliare i contenuti, i princìpi e i valori di quest’Europa. Di certo, l’eredità greca e romana, il Cristianesimo e l’illuminismo, la travagliata storia della resistenza ai totalitarismi novecenteschi ci hanno lasciato alcuni contenuti come la pace, la giustizia sociale, la libertà di pensiero, di espressione, di associazione, di partecipazione democratica. E’ giunta l’ora di chiarire ed esplicitare i contenuti e i limiti di questi concetti o affonderemo tra la vuota retorica che sentiamo nelle occasioni speciali e la spietata tecnocrazia che fa sentire l’Europa come un ente lontano e astratto. Ho sentito tanti inglesi paragonarla al progetto di Terzo Reich o all’allucinata distopia di Orwell. Per dar loro torto, occorre che ci sia quell’incrocio fra la vita e la logica che si chiama Costituzione.

 

Più in profondità, Brexit mette in discussione la tendenza al superamento degli stati nazionali che dal 1500 hanno sancito la forma della vita comune, scalzando la coesistenza di forme più universalistiche come l’Impero e più localistiche come principati e comuni. Nel secondo Dopoguerra le esigenze dei mercati, le capacità della rete, la crescente cultura e – paradossalmente – la lingua inglese hanno portato a una progressiva globalizzazione in cui sembrano resistere solo gli agglomerati più grossi. La Brexit come i tanti fenomeni comunitaristici (linguaggio spesso usato anche da Grillo) fanno vedere che questi agglomerati, come l’Europa, non possono essere semplicemente imposti dall’alto. La perdita della sovranità nazionale è accettabile se, e solo se, è fatta in nome di un’istituzione più capace di garantire la sicurezza e il benessere di ciascuno e, soprattutto, più rispettosa e rappresentativa delle culture e delle tradizioni locali di quanto non lo siano gli stati nazionali. Un’Europa dei popoli, piena di ideali di libertà, di rispetto della vita e della giustizia sociale, amante e valorizzatrice delle differenze e delle peculiarità culturali ed economiche di ogni regione sarebbe un bell’ideale per il quale varrebbe la pena lavorare e sacrificarsi. Altrimenti, il ritorno agli stati nazionali e la marginalizzazione della storia di questo continente, sono un destino annunciato. Speriamo che i nostri governanti, in questi giorni di riunioni frenetiche, abbiano il coraggio di pensarci.