Magistrati all'inaugurazione dell'anno giudiziario a Milano (foto LaPresse)

I giudici sono "semplici cittadini" solo quando fa comodo a loro

Redazione
Per Nello Rossi, avvocato della Cassazione, le toghe possono esprimere le proprie posizioni politiche "come i professori di diritto costituzionale". Ma l'esercizio della loro funzione pubblica, come ricordano Costituzione e Csm, richiede "terzietà e imparzialità". Cc: Beppe Grillo.

“Di fronte al referendum i magistrati, come i professori di diritto costituzionale, ritornano semplici cittadini”: è con queste parole che Nello Rossi, ex procuratore aggiunto a Roma e oggi avvocato generale della Cassazione, ha difeso in un’intervista a Repubblica il diritto dei magistrati a schierarsi nelle questioni politiche, come sta accandendo attorno al referendum costituzionale del prossimo ottobre, con la campagna del “no” di Magistratura democratica e il discusso caso Morosini.

 

Secondo Rossi (in passato presidente di Md) non c’è nulla di strano che i magistrati esprimano le proprie posizioni politiche, perché – spiega – lo fanno “senza alcuna autorevolezza aggiuntiva”, “con i loro dubbi, le loro incertezze, le loro divisioni ideali, le loro discutibilissime opinioni”. Una strana contraddizione sembra dunque animare una parte del mondo togato: in prima linea a rivendicare la propria autonomia e indipendenza nei confronti degli altri poteri dello stato, ma allo stesso tempo sempre pronta a ignorare ogni riflessione circa le responsabilità che tale ruolo comporta.

 

A dire chiaramente, infatti, che i magistrati non sono dei “semplici cittadini” è la stessa Costituzione italiana, che alle toghe – a differenza dei professori di diritto costituzionale – affida lo svolgimento di una funzione pubblica, quella giudiziaria, a cui viene garantita indipendenza e autonomia, ma anche riconosciuta una fondamentale responsabilità in termini di imparzialità e terzietà. Principi cardine che vengono richiamati, ancor più paradossalmente, dallo stesso Consiglio superiore della magistratura (di cui Piergiorgio Morosini fa parte).

 

E’ l’organo di autogoverno dei magistrati a sottolineare infatti chiaramente, sul suo sito, “la necessità che ai giudici sia garantita indipendenza e autonomia, perché nell’esercizio della loro funzione essi devono non solo essere, ma anche apparire come terzi imparziali”. “Anzi – prosegue il Csm – terzietà e imparzialità sono assunte come le caratteristiche che consentono di distinguere i giudici dagli altri organismi che esercitano funzioni statali diverse”.

 

Altro che professori di diritto costituzionale, dunque: è lo stesso Csm a dire che i magistrati svolgono una funzione pubblica diversa da tutte le altre, e che questa peculiarità deriva dai loro obblighi di “terzietà e imparzialità”. Ne pare consapevole il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, che in un’intervista di oggi al Corriere della sera, definisce “discutibile” l’impegno di alcune toghe nella campagna referendaria: “I giudici valutino il peso delle loro parole”. Una lezione che potrebbe far comodo tenere a mente anche a Beppe Grillo.