L'accademia Vivarium Novum

A Roma c'è il laboratorio che insegna al mondo a parlare latino e greco

Matteo Matzuzzi

Perché il governo oggi va all’accademia Vivarium Novum. Si trasferirà a Villa Falconieri, nella campagna laziale, “l’unico luogo dove è possibile immergersi totalmente nelle lingue latina e greca”. Una res publica litterarum.

Roma. Ci saranno anche Dario Franceschini, ministro dei Beni culturali, Stefania Giannini, titolare dell’Istruzione e dell’Università, e il numero uno del Demanio, Roberto Reggi, a quella che il direttore Luigi Miraglia, per il New Yorker l’uomo che al mondo parla più fluentemente il latino, ha definito “il primo passo verso la costituzione di un campus mondiale dell’umanesimo”. Nella campagna laziale, a Villa Falconieri, si trasferirà Vivarium Novum, una res publica litterarum, “l’unico luogo dove è possibile immergersi totalmente nelle lingue latina e greca”. Già oggi, fuori città, vi arrivano studenti da ogni parte del mondo, africani, asiatici, europei. Tutti uniti nel discutere i problemi dell’attualità al modo delle antiche scuole umanistiche: “Parliamo di stato giusto, del dialogo tra le religioni monoteiste, della guerra giusta, ma lo facciamo con Erasmo, Moro, Cicerone, Lorenzo Valla, Platone, gli stoici”, dice al Foglio il professor Miraglia: “L’altro giorno discutevamo passi del De Bello Turcis inferendo di Erasmo, per esempio, convenendo sulla necessità di fare attenzione a pericolose omologazioni, della serie ‘tutti i turchi sono uguali’.

 

Vogliamo far capire ai giovani di oggi che le radici culturali dell’humanitas sono uguali dappertutto, e lo facciamo attraverso una formazione che si dipana sul piano morale e civile e un colloquio costante con quella che è la nostra storia”. E per veicolare il messaggio, si è ripresa la consuetudine delle antiche scuole: “I ragazzi parlano latino e greco antico, e lo parlano correttamente e correntemente come seconda e terza lingua entro un paio di anni. Questo fa sì che i testi classici, compresi quelli medievali, possano essere compresi e vissuti, dibattuti”. Un po’ come faceva Petrarca con Cicerone, al quale spediva – a secoli di distanza – lettere indignate “perché lo sentiva come amico”. E gli studenti discutono in greco e latino anche a mensa, o mentre mettono in musica i carmina di Catullo, un po’ alla maniera dei monaci che fecero l’Europa dopo i lunghi secoli delle invasioni barbariche. A eccezione delle lezioni di lingua e letteratura greche, tutte le lezioni e le conversazioni si tengono in latino. E’ questa la ricetta per favorire l’accesso in breve tempo ai testi letterari. Se qualche studente parlasse in lingua moderna, rallenterebbe l’apprendimento preciso del latino per sé e i compagni.

 

“L’obiettivo è di educare i giovani a pensare in modo diverso, a guardare all’universale più che al particolare, a tenere sempre presente che oltre al transeunte c’è l’eterno”, dice il direttore: “E’ un esercizio della ragione su ciò che è incerto”. Compito complesso in una società in continuo movimento, globalizzata, dove un fast food presente a Roma lo si può trovare in qualche strada di New York e Shanghai. Strada ardua ma di successo, guardando il numero delle domande per l’ammissione che di anno in anno cresce sempre di più. Gli ammessi ammontano a sessanta all’anno su circa duecentocinquanta richieste pervenute. “Tutti si mantengono con borse di studio, nessuno paga un centesimo né per il vitto né per l’alloggio”, chiarisce Miraglia, che ricorda quanto fondamentale sia il sostegno dei privati, novelli mecenati. Certo, la selezione è dura, guarda in primo luogo al bisogno, quindi alla naturale propensione verso lo studio delle lingue classiche – i candidati devono già sapersi esprimere e saper comunicare, seppur in modo semplice, in latino –  e a quelle che il direttore definisce “una certa elasticità dell’animo e una tensione alla concordia, che è termine preferibile rispetto a tolleranza”.

 

I fatti dimostrano che la metodologia classica funziona, tanto da attecchire persino in Cina: all’università di Pechino insegna una ex studentessa di Vivarium Novum, che ha convinto il rettore dell’università statale della capitale a inaugurare un nuovo corso di lettere classiche. Da lì arriveranno a Roma ogni anno ragazzi a perfezionarsi, prima di ottenere incarichi nella facoltà creata ad hoc in patria. Merita d’essere sottolineato il successo presso i cinesi: “Sono interessati a conoscere le radici classiche, ma non solo”, spiega ancora Luigi Miraglia: “Vogliono approfondire di più anche le loro stesse radici, che tanto hanno a che fare con la nostra civiltà, anche se questo aspetto è poco noto e indagato.

 

E’ sufficiente ricordare che i gesuiti (Matteo Ricci e altri) furono i primi a tradurre i classici latini in cinese già sul finire del Cinquecento, e che la prima traduzione in latino dei detti di Confucio fu opera di Prospero Intorcetta, un missionario di Piazza Armerina vissuto nel Seicento. Sono convinto – aggiunge il direttore dell’accademia – che questa collaborazione tra occidente e oriente, oltre a spingere gli studenti a pensare in grande e a non rimare racchiusi tra barriere, possa anche favorire una riscoperta dello spirito occidentale”. Dopotutto, la storia insegna: “Quello spirito è già rinato una volta, nel Rinascimento. Ciò è stato possibile grazie ai bizantini giunti in occidente che portavano la loro cultura orientale, la filosofia greca. E gli occidentali si sentirono stimolati a riscoprire la propria grandezza”.

  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.