Un migrante nel campo profughi di Schisto, vicino Atene, in Grecia (foto LaPresse)

Minority Report

Accoglierli, ma come? La difficile ricerca di equilibrio dei cattolici quando parlano di migranti

Giovanni Maddalena
Che i cattolici abbiano qualche crampo mentale sulla vicenda dei migranti è comprensibile. I crampi nascono dall’essere naturalmente contrari ad avversare le migrazioni – il cattolicesimo è basato sul rispetto della ricerca della felicità – ma dall’essere anche naturalmente contrari alla perdita di sicurezza e identità – il cattolicesimo difende crescita delle personalità ed educazione.

Che i cattolici abbiano qualche crampo mentale sulla vicenda dei migranti è comprensibile ed evidente. Qualche giorno fa a Termoli ne ho avuto la riprova in un incontro sul tema organizzato da un’ottima associazione locale. La relatrice cattolica brava e preparata fornisce numeri e analisi precise, con un grande equilibrio critico sull’operato del governo italiano. Tuttavia, nel momento delle conclusioni, comincia il problema. Visto che qualche questione di spazio, integrazione e lavoro c’è, che cosa dovrebbe fare un cattolico? Sicuramente, accogliere, come dice il Papa. Sicuramente, come dicono i programmi della Cei, e come il Papa ha ribadito (e i media un po’ occultato), cercare un modo intelligente affinché l’accoglienza sia sostenibile e l’integrazione possibile. Il tutto con buona volontà e apertura, secondo quanto deriva dall’animo cattolico.

 

Qui però finiscono le certezze. Cosa pensare da un punto di vista sistemico? Quali politiche si dovrebbero fare? E’ giusto o non è giusto farli arrivare? E’ giusto o no intervenire nel luogo di origine? Sono adeguati i livelli di protezione che forniamo (gli status di rifugiato, protetto sussidiario, protetto umanitario)? Sono troppi? Troppo pochi? E’ sbagliato costruire muri? E’ sbagliato avere paura? E’ giusto accogliere tutti? E’ giusto non identificarli? Sono nostre le colpe o dell’Ue?

 

E qui cominciano i crampi. La relatrice a questo oppone qualche generica affermazione sul fatto che nel dialogo noi riscopriamo noi stessi. Ma chiunque abbia fatto un colloquio con qualche migrante in un centro di accoglienza sa che la maggior parte di loro conosce a stento una lingua in cui sia possibile svolgere un dialogo, non ha nessuna intenzione di fare lunghi percorsi identitari, vuole benessere e non parole. E la situazione in cui si trova è tutto salvo che favorevole a un’integrazione: anni in alberghi, con solo maschi, senza poter lavorare e con qualche sporadica lezione di italiano. Il dialogo non è in discussione, ma non è né il problema né la soluzione.

 

I crampi nascono dall’essere naturalmente contrari ad avversare le migrazioni – il cattolicesimo è basato sul rispetto della ricerca della felicità – ma dall’essere anche naturalmente contrari alla perdita di sicurezza e identità – il cattolicesimo difende crescita delle personalità (anche quelle deboli) ed educazione. I più in crisi, quelli che fanno più fatica ad avere prospettive in una società totalmente liquida, sono i più deboli: i giovani e i poveri, e non penso sia un caso che siano proprio queste categorie quelle che in tutta Europa (e negli Stati Uniti) stanno votando contro i partiti di garanzia del sistema.

 

Il problema è effettivo. A esso i cattolici oppongono la terza via, senza per ora trovare la celebre quadratura del cerchio tra la durezza non accogliente nord europea e la liquidità astratta radical-chic. Il cattolicesimo deve trovare pensiero teorico e proposte concrete (su criteri di status, rimpatri, tirocini, ecc.), che come sempre hanno senso solo se arrivano al dettaglio e se non sono affidate ai soli buoni sentimenti. Sul tema si può aprire una discussione ma riconoscere con lealtà e senza scandalo il crampo mentale in cui si è bloccati è già un buon inizio.

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