Il presidente dell'Anm Piercamillo Davigo

Ecco quello che Davigo non dice sulla giustizia italiana

Redazione

Continua il tour de force mediatico del nuovo presidente dell’Anm. Confronto diretto con la politica. Ma per ascoltare parole di buon senso sulla giustizia lenta e anti impresa bisogna ascoltare l’ambasciatore americano in Italia, Phillips.

Non si ferma il tour mediatico di Piercamillo Davigo, nuovo presidente dell’Associazione nazionale magistrati. Dopo le interviste rilasciate nei giorni scorsi al programma “Di Martedì” su La7, e poi mercoledì al Fatto quotidiano, in cui – come abbiamo notato – sembrava emergere una sorta di manifesto del Partito della nazione giustizialista, oggi Davigo si è concesso alla penna di Aldo Cazzullo, sul Corriere della sera.

 

I toni restano alti, e i temi gli stessi: si parla di politica, di “ladri”, ma per niente (o quasi) di giustizia. Davigo rivendica un celebre aforisma a lui attribuito quando era componente del pool di Mani pulite (“Non esistono innocenti, ma solo colpevoli non ancora scoperti”), spiegando che “chiunque avesse avuto un ruolo in quel sistema criminale non poteva essere innocente” (anche se in verità, centinaia di persone sottoposte a processo furono poi assolte). Ma, soprattutto, il presidente dell’Anm non cede sul fronte dei rapporti con la politica, affermando che a 24 anni di distanza da Tangentopoli i politici “non hanno smesso di rubare; hanno smesso di vergognarsi”, perché oggi “rivendicano con sfrontatezza quel che prima facevano di nascosto”.

 

Sulla situazione della giustizia italiana in senso stretto, sul nostro sistema giudiziario lento, inefficiente e dannoso sotto ogni punto di vista, nessuna parola, o quasi.

 

Un commento Davigo lo riserva solo alla situazione carceraria, fonte di innumerevoli condanne europee e internazionali contro il nostro paese, e lo fa dichiarando che per risolvere il problema non servirebbero nient’altro che “nuove carceri”, perché sarebbe “un dato oggettivo che l’Italia è il paese d’Europa che ha meno detenuti in rapporto alla popolazione”. Per le carceri sovraffollate, dunque, la soluzione è solo edilizia (più carceri) e di principio (più manette).

 

Insomma, tra i tanti interventi pubblici degli ultimi giorni, tra le tante parole spese, il rappresentante del sindacato della magistratura ha evitato paradossalmente di affrontare il grande tema della giustizia italiana. Lo ha fatto al suo posto invece, in maniera ripetuta e convinta, l’ambasciatore degli Stati Uniti in Italia, John Phillips, che sia in un intervento al Salone della Giustizia ad inizio settimana, sia in una lezione tenuta ieri all’università Bocconi, ha sottolineato come l’Italia si collochi solo all’ottavo posto per investimenti dagli Stati Uniti, e che “la giustizia è al primo posto” nel frenare questa attrazione di business.

 

Phillips ha evidenziato che i manager americani sono scoraggiati dall’investire in un paese in cui la giustizia “è troppo lenta”, dove “ci vogliono oltre tre anni per una decisione di primo grado su una semplice questione contrattuale”. Non solo, l’ambasciatore americano ha anche richiamato l’attenzione sulla facilità con cui alcune procure avviano cause per presunte frodi fiscali nei confronti di grandi multinazionali, affermando che i giudici italiani “dovrebbero essere più pragmatici” e tenere conto delle conseguenze delle loro decisioni.