Robot antiterrorismo a Bruxelles (foto LaPresse)

Il buco legislativo occidentale in cui entrano bombe fai-da-te e altre diavolerie

Marco Cecchini
I paesi occidentali nel mirino del terrorismo islamico hanno adottato negli ultimi anni innumerevoli leggi per prevenire nuovi attacchi e battere il jihad, con risultati scarsi. Meglio puntare sul fronte tecnologico: robot e sensori anti-bombe.

Si può fronteggiare il terrorismo con l’arma della legge? Norme, regolamenti, risoluzioni: dall’attentato alle Torri Gemelle, con cui si è aperta nel 2001 la stagione della guerra asimmetrica, i paesi nel mirino del terrorismo islamico hanno preso una serie innumerevole di provvedimenti per prevenire nuovi attacchi e battere il jihad. Con risultati praticamente nulli. Da Londra a Boston, da Parigi a Bruxelles, infatti, l’intensità del fenomeno, invece di diminuire, è aumentata.

 

Fino alla metà del decennio scorso, gli interventi normativi sono stati prevalentemente di carattere nazionale, e orientati a contrastare le fonti di finanziamento del fenomeno. Successivamente sono scese in campo le organizzazioni internazionali, come l’Onu, con diverse risoluzioni, e l’Unione europea, con uno specifico regolamento nel 2013 volto ad armonizzare la disciplina dei vari paesi. Con questo provvedimento di Bruxelles, e con una successiva risoluzione delle Nazioni Unite del 2014, si è puntato in particolare a un triplice obiettivo: reprimere il fenomeno dei foreign fighters, porre sotto controllo l’utilizzo da parte dei privati dei materiali di facile reperibilità che possono servire alla costruzione di bombe (i cosiddetti precursori di esplosivi), monitorare i siti web di propaganda islamista per eventuali interventi repressivi. I legislatori europei, tuttavia, hanno preso coscienza con ritardo dell’evoluzione del terrorismo islamico, la cui efficacia poggiava da tempo sulla facilità con cui è possibile costruire ordigni home made, e su un uso sofisticato e martellante della rete.

 

Il monitoraggio del web si è intensificato, ma reprimere l’attività dei siti islamici è molto problematico, vista la sconfinata libertà che caratterizza nel bene e nel male la rete. Inspire – la rivista online di Al Qaeda – nel suo penultimo numero ha pubblicato uno speciale, intitolato “The hidden bomb”, nel quale illustra i punti deboli dei sistemi di sicurezza aeroportuali e le tecniche per fabbricare esplosivi che risultino negativi ai controlli. Il sito web dell’Isis, Dabiq, fornisce sotto forma di e-book una guida pratica intitolata “How to survive in the West”, con un capitolo dedicato alla costruzione di bombe domestiche. Secondo gli esperti, comunque, il monitoraggio della rete può servire ad aprire un varco all’infiltrazione di agenti nelle file terroristiche.

 

Lasciano basiti, invece, le falle presenti nella normativa, incluso l’ultimo regolamento europeo del 2013. Il regolamento ha dettagliato minuziosamente le sostanze (dal perossido di idrogeno, che altro non è che acqua ossigenata, e il perclorato di potassio, principio base dei farmaci tiroidei, all’acido nitrico, presente nei comuni fertilizzanti, e l’acetone) la cui detenzione e impiego privati devono essere controllati, ma ha poi individuato alcune eccezioni di rara pelosità giuridica. Le deroghe riguardano oggetti “la cui forma o destinazione risulti prevalente rispetto alla componente chimica”, ma anche gli articoli pirotecnici ovvero “qualsiasi articolo contenente sostanze esplosive o una miscela esplosiva di sostanze destinate a produrre un effetto calorifico, luminoso, sonoro, gassoso o fumogeno o una combinazione di tali effetti anche per uso ludico”, nonché i medicinali contenenti precursori di esplosivi “purchè dietro presentazione di ricetta medica”.

 

La difficoltà di regolamentare l’impiego di queste sostanze si scontra evidentemente con la necessità di rispettare il principio della libertà del mercato nell’Unione europea, e non a caso il regolamento del 2013 è frutto di un lungo confronto con il mondo dell’industria. Con queste premesse è chiaro, però, che per un terrorista resta molto facile procurarsi i componenti per la fabbricazione di dispositivi anche ad elevato potenziale, e reperire in rete l’abc per la fabbricazione. Non sorprende, allora, che secondo una recente ricerca dell’Università di Roma La Sapienza, questi “limiti” del regolamento debbano essere rivisti. Che dire poi delle sanzioni previste dalla normativa italiana di attuazione? Dell’arresto fino a 18 mesi e della multa di 247 euro per chi introduce o detiene precursori di esplosivi? O delle sanzioni nei confronti di chi si “autoaddestra” a compiere atti terroristici?

 

Quella contro il terrorismo è una guerra che si conduce su più fronti: quello normativo e quello del web sono due tra questi. Ma forse in futuro il fronte più importante sarà quello tecnologico: robot in grado di “annusare” chi porta con sé materiali esplosivi in luoghi pubblici, e sensori – come quelli che sono allo studio del progetto europeo Bonas (di cui è responsabile per la ricerca l’italiano Francesco Saverio Romolo) – capaci di localizzare i luoghi sospetti dove si stanno fabbricando ordigni. La nuova frontiera, con tutta probabilità, è qui.

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