Un cantiere della Tav di Firenze

Meno gogne, più Incalza

Redazione
Sono stato prosciolto o archiviato in quattordici inchieste ma i giornali si bevono qualsiasi cosa gli viene detta dalle procure”. Aveva dunque ragione Ercole Incalza quando, appena un anno fa, sulle colonne di questo giornale, ricostruì con il Foglio un’inchiesta che lo vide protagonista in due passaggi e in due diversi filoni.

Sono stato prosciolto o archiviato in quattordici inchieste ma i giornali si bevono qualsiasi cosa gli viene detta dalle procure”. Aveva dunque ragione Ercole Incalza quando, appena un anno fa, sulle colonne di questo giornale, ricostruì un’inchiesta che lo vide protagonista in due passaggi e in due diversi filoni. Il primo filone è quello legato a un’indagine partita dalla procura di Firenze nel gennaio 2013 e da cui Incalza – dal 2001 al 2014 a capo della struttura tecnica di missione del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti – è stato ieri prosciolto per non aver commesso il fatto. In quell’occasione, Incalza venne accusato di truffa, corruzione, associazione a delinquere, traffico illecito di rifiuti, violazione delle norme paesaggistiche, abuso d’ufficio e frode nelle pubbliche forniture. Sostanza dell’accusa: secondo i pm, Incalza, come dirigente dell’unità di missione del ministero delle Infrastrutture a cui faceva riferimento un appalto legato alla costruzione della Tav di Firenze, si sarebbe “prodigato per bypassare vincoli e autorizzazioni paesaggistici, anche attestando nelle varianti al progetto che non fosse necessaria una nuova valutazione di impatto ambientale, con riferimento allo scavo del tunnel vicino a monumenti come la Fortezza da Basso”.

 

Incalza oggi è stato prosciolto dalle accuse ma fu proprio utilizzando le intercettazioni ottenute dalla procura di Firenze nell’ambito di quell’indagine che si arrivò a una seconda indagine. Quella più famosa. Quella del 2015. Quella per cui finì agli arresti per circa quattro mesi (19 giorni in carcere, tre ai domiciliari). Accusa: reati di corruzione, induzione indebita, turbata libertà degli incanti e altri delitti contro la Pa. La vicenda giudiziaria, con tutti i suoi elementi surreali, è raccontata dallo stesso Incalza oggi in prima pagina sul nostro giornale. Ma la storia di Incalza è una storia che merita di essere seguita con attenzione perché è il simbolo di un’Italia pistarola e babbea che vive in una grande illusione: insegue i soliti teoremi dei magistrati sui “sistemi” e “le cricche” che governano il paese senza capire che un paese come il nostro ha bisogno di uomini come Incalza per combattere la burocrazia che tiene immobilizzata l’Italia. Combattere la corruzione è sacrosanto, naturalmente, ma solo un pazzo oggi può far finta di ignorare un problema elementare: la corruzione, nell’Italia di oggi, dipende da una burocrazia scellerata e un sistema di leggi inadeguato, non da manager che si preoccupano semplicemente di smuovere il paese. La procura di Firenze – la stessa richiamata severamente pochi mesi fa dal Tribunale del riesame su un altro caso importante come quello che vide indagato ingiustamente Fabrizio Palenzona – ieri ha assolto Incalza. Vedremo come finirà la seconda inchiesta. Ma già oggi ci sarebbe materia per urlare, rivolti non solo alla procura di Firenze: meno gogne, più Incalza, grazie.

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