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L'egemonia mancata del Corriere, da Tangentopoli ai guai editoriali taciuti

Renzo Rosati
Il pulpito delle critiche, il renzismo oltre il governo. Le idee in un quotidiano sono tutto, ma per il Corrierone anche l’egemonia parrebbe scontata. Nel senso del dettare una propria agenda alle parti in causa della società: politica, finanza, magistratura, cultura. E’ così?

Roma. Se sei il Corriere della Sera – il Corrierone: mica, come si diceva una volta, la Gazzetta di Peretola – e spendi il tuo brand di maggior successo, Gian Antonio Stella, a motteggiare sulla “incredibile autostima” dei nostri premier (nomi a caso, Berlusconi e Renzi), può essere la scoperta dell’acqua calda leggermente sproporzionata alla prima pagina e a quella dei commenti, com’è accaduto martedì 23 febbraio. Se però andando indietro giorno per giorno il Corriere mobilita Ernesto Galli della Loggia contro “l’egemonia renziana non sorretta dalle idee” – regoliamo il conflitto d’interessi: bersagli collaterali il Foglio e il suo direttore – e prima Ferruccio de Bortoli contro “le pubbliche amnesie sul debito pubblico”, e il costituzionalista-top Michele Ainis contro i canguri parlamentari, e scalando ancora “la spinta smarrita del premier” (Antonio Polito), se insomma Via Solferino schiera un plotone di esecuzione di editoriali, qualche domanda te la fai pure sul quartier generale.

 

Esempio: non ha torto de Bortoli a strigliare Renzi sul debito pubblico; ma perché non fece altrettanto con Mario Monti ed Enrico Letta? Come è noto l’ex direttore definì il premier “un caudillo” mentre le pagine del Corriere sono lì a testimoniare una iniziale sintonia più che politica con Monti (che da via Solferino proveniva) e poi totale sintonia con Letta jr. (che piaceva e piace per stile, educazione, anche “dress code”). Il che evoca un comune mondo di frequentazioni, valori, convegni Aspen e workshop di Cernobbio, reciproci rispetti, e insomma riecco proprio le aspirazioni di egemonia che Galli della Loggia rimprovera a Renzi in quanto senza idee, con il sottinteso che il Corriere sia ampiamente titolato sulle prima e sulle seconde.

 

Le idee in un quotidiano sono tutto, ma per il Corrierone anche l’egemonia parrebbe scontata. Nel senso del dettare una propria agenda alle parti in causa della società: politica, finanza, magistratura, cultura. E’ così? Della politica si è detto.

 

La finanza era quasi tutta nell’azionariato della holding Rcs, con un bel po’ di industria reale tra cui gli Agnelli, e ogni cosa blindata dai patti di sindacato. Le banche allora sistemiche – Intesa e Unicredit – sono oggi alle prese con i parametri patrimoniali, Mediobanca si è ridimensionata, e gli Agnelli meditano l’uscita. Certo, è un fatto mondiale, i grandi e abbacchiati quotidiani generalisti passano di mano, gli azionisti vendono e comprano, le redazioni ne dibattono pubblicamente sopravvalutandosi un po’, vedi Wall Street Journal, Le Monde, Financial Times. Il Corriere invece sta schiscio. Se Elkann e Marchionne se ne vanno, l’ad Urbano Cairo si limita a un: “Non credo, spero di no”. L’agenda è più minimalista di una Moleskine.

 

Passiamo alla magistratura. Era il 21 novembre 1994 quando la procura di Milano spedì l’avviso di garanzia al Cavaliere facendolo transitare prima per l’allora direttore del Corriere, Paolo Mieli. In 21 anni direttori e procuratori sono quasi tutti cambiati, riflessioni sul giustizialismo ritualmente pubblicate, eppure un paio di pagine e inviati restano a disposizione delle intercettazioni e, ahimè, delle veline giudiziarie.

 

[**Video_box_2**]Parliamo allora di cultura? Celebrato come si deve il commiato a Umberto Eco, eletto ad autore di casa in quando Bompiani, il Corriere tralascia che la scomparsa del Maestro abbia coinciso con il via libera dell’Antitrust alla cessione di Rcs Libri alla Mondadori, previa scissione (non in nome della rosa ma delle quote di mercato) proprio di Bompiani e Marsilio. Si sancisce così che la rivale berlusconiana, sempre sottilmente spregiata (“Editoria da supermarket” la definì MicroMega, anatema affibbiato anche a Feltrinelli), ha salvato i conti Rizzoli, per ora. E il “mostro Mondazzoli”, definizione questa di Eco che finanziò la fondazione della Nave di Teseo, nascerà.

 

Intanto che il Corriere della Sera e il suo gruppo si perdono azionisti e argenteria: i libri, Flammarion, le radio, i periodici, via Solferino. Ambizioni malsorrette di egemonia?

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