I dischi si vendono ancora (anche se poco), ma sono quelli del passato

Michele Boroni
Un'indagine di Nielsen inerente al mercato musicale americano nel 2015, sancisce una nuova contrazione delle vendite: meno 6,5 per cento. I classici reggono, crollano invece i dischi pubblicati nell'ultimo anno. Resistono i vinili. Non si ascolta più musica? No, il report non considera lo streaming.

Tra le mille ricerche che ci sommergono ogni giorno con numeri che spesso non raccontano niente, ce n'è una particolarmente interessante che ci permette di leggere oltre il dato e magari anche di interpretare il presente e preconizzare il futuro. La ricerca di cui parliamo riguarda l'industria discografica e gli Stati Uniti, solitamente un paio di passi avanti rispetto all'Europa nel tracciare il percorso delle tendenze.

 

Secondo i dati rilevati da Nielsen il 2015 è stato il primo anno in cui le vendite dei dischi cosiddetti di catalogo (ovvero quelli usciti da almeno 18 mesi) hanno superato quelle dei dischi contemporanei (currents), cioè usciti nell'anno solare.

 

 

In generale l'intero comparto discografico (dischi fisici e download digitali) nel 2015 ha subito un calo del 6,5 per cento rispetto all'anno precedente, ma il calo maggiore si è avuto dai dischi usciti nell'anno (meno 9,2 per cento) piuttosto che da quelli di catalogo (meno 2,9) che hanno meglio resistito alla caduta del comparto discografico che si ripete da circa dieci anni.

 

Se poi vediamo il dato scorporato tra dischi fisici e i download digitali la differenza si fa ancora più evidente con un calo del 13,8 per cento di vendite dei currents su cd e i “rinati” (si fa per dire, ma vedremo dopo) vinili; per iTunes e compagnia – che hanno ancora una quota complessiva minore rispetto al supporto fisico - il calo delle nuove uscite si attesta a meno 2,5 per cento.

 

E per fortuna – dei numeri – che quest'anno è uscito “25” il disco di Adele detentore di ogni record di vendite e che da solo ha contribuito per 7,44 milioni di dollari sui 118,5 di vendite complessive, ossia il 6,3 per cento del totale. Senza l’opera della cantante inglese il gap sarebbe stato ancora più ampio.

 

Se questi sono i dati, vanno fatte alcune considerazioni su quale sia oggi, rispetto al passato, la funzione della musica e dei dischi. L'impressione è che oggi il disco (fisico o file mp3 che sia) rappresenti sempre più una sorta di supporto della “nostra memoria musicale” e che quindi trova come naturale complemento i dischi del passato. L'altro dato evidente è che i dischi vengono acquistati sopratutto da un pubblico più maturo per cui la musica ha una funzione puramente affettiva, frammenti di colonna sonora della giovinezza e dei ricordi.

 

[**Video_box_2**]Ma queste due considerazioni non devono trarre in inganno, perché non tengono in considerazione lo streaming, ossia il modo contemporaneo di ascolto della musica: un flusso indifferenziato, spesso ascoltato sui computer o sugli smartphone e quindi con bassa qualità, una base sonora su cui i più giovani non prestano neanche troppo attenzione, merceologicamente considerato come una commodity, quindi come un bene per cui esiste una domanda ma che è offerto sul mercato senza particolari differenze qualitative e fungibile.

 

Più volte si è letto da una parte del prepotente ritorno del vinile, mentre dall'altra si evidenziava un pesante ridimensionamento: ecco, secondo i dati, questa volta dalla RIAA (Recording Industries Association of America), la torta delle vendite del 2015 è così spartita: cd 18,7 per cento e vinili 8,4 per cento. Adele ha venduto 116.000 vinili, Taylor Swift 74.000, mentre passando ai titoli di catalogo a Dark Side of The Moon dei Pink Floyd 50.000 vinili, seguito da Abbey Road dei Beatles (49.800) e Kind of Blue di Miles Davis (49.000), quindi almeno in America vinili e musica di catalogo procedono spediti a braccetto.

 

Certo, stiamo parlando degli Stati Uniti, ma il recente passato ci racconta che  molte volte questi fenomeni di mercato hanno tracciato la strada per il mercato europeo e italiano.

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