Il dramma di un occidente che spaccia per laicità la “paura di offendere”

Marco Carrai
L’appello lanciato su queste pagine dal direttore Claudio Cerasa non può lasciare indifferenti gli appartenenti a uno stato laico o che si professa tale.

L’appello lanciato su queste pagine dal direttore Claudio Cerasa non può lasciare indifferenti gli appartenenti a uno stato laico o che si professa tale. Laicità non significa proteggere qualcuno ma permettere a tutti di esprimere la propria libertà di culto entro i limiti della convivenza democratica. Molte volte invece in occidente si è pensato che la laicità fosse il non professare i propri credi per non offenderne altri. Questo si chiama remissivismo e falsa accoglienza.

 

Tante volte ho visto occhi ilari squadrarmi quando in occasione del pasto talvolta ho osato fare un segno della croce. Gli stessi occhi che magari guardano in modo compassionevole chi porta il velo immaginando chissà quale oppressione sia costretto a subire il confratello di religione diversa in uno stato a forte espressione cristiana. Occhi che magari pensano che bene ha fatto il presidente della comunità ebraica di Marsiglia a invitare gli appartenenti alla comunità ebraica del luogo a non portare la Kippah perché in fondo gli ebrei un pò se la cercano. No la laicità è difendere i diritti inalienabili di ciascuno a professare la propria religione nei limiti della convivenza democratica. La Kippah è un riconoscimento della fede professata nel nostro unico Dio Padre. Nel Dio del Libro. Nel mio Dio. Anche io quindi aderisco all’appello di portare la Kippah nel giorno della memoria 27 gennaio perché il passo e la memoria di appellarsi a non portarla per non dover essere segnati con una stella è ancora troppo breve.

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