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Dissento. La legge sulle unioni civili non funziona perché troppo timida

Piero Tony
Cosa dice il (furbissimo) ddl Cirinnà e perché la stepchild adoption, cari amici del Foglio, è un falso problema.

Cari amici del Foglio. Ad oggi nel nostro paese l’unica unione civile possibile è quella matrimoniale tra persone di sesso diverso, lo si evince dagli articoli 107 cc e 29 Costituzione, chiarissimi e secondo i più non sufficientemente contraddetti – per via della loro natura solo programmatica – dagli articoli 12 Cedu e 9 Carta di Nizza. Occorrendo dunque una legge per cambiare codesto quadro ordinamentale, in tanti sono in attesa che prenda corpo il disegno di legge così detto Cirinnà che dovrebbe arrivare in Senato il 26 di questo mese. Sia il primo sia il secondo ddl Cirinnà meravigliano per quanto appaiono equilibrati, anzi in faticoso equilibrio su fibrillazioni trasversali, e forse solo per tale ragione tanto cauti e a passo felpato da apparire, più che innovativi, quasi solo descrittivi di tutto quello che già c’è nel “diritto vivente”. Cosa dice il Cirinnà bis? Che tra persone dello stesso sesso – è questo il punto – non c’è matrimonio egualitario (come quello di Stati Uniti d’America, Inghilterra, Francia, Spagna e altri) ma una “unione civile quale specifica formazione sociale” (come Svizzera, Germania, Austria). E non c’è adozione legittimante ma solo una stepchild adoption da aggiungere – secondo l’articolo 5 del ddl bis – alle ipotesi di “adozione in casi particolari” previsti dall’articolo 44 della legge 4 maggio 1983, numero 184. Formazione sociale? Musicalmente solenne ma cosa rappresenta se non il modo di aggirare l’impronunciabile parola “matrimonio” riservata agli etero, visto che nei fatti il nuovo istituto avrebbe effetti giuridici ad esso equivalenti o quasi? Stepchild adoption? Ganzo il termine esotico, e fumoso quanto serve per alimentare chissà quali aspettative. Ma era così urgente precisare che il figliastro va accudito e non abbandonato per strada? Aria fritta.

 

Quanto alle unioni civili perché così si perde l’occasione di sancire, una volta per tutte, che senza distinzione di sorta il matrimonio è diritto di ogni persona – se proprio lo desidera – a prescindere da cosa abbia sotto il vestito; a meno che il ddl non si preoccupi – per spirito di buon vicinato e con animo laico ma non esageriamo perché non si sa mai – del suo fine procreativo. Quanto alla stepchild adoption perché non fa altro che formalizzare l’ovvietà che ci si possa/debba occupare del figlio del coniuge/compagno quando l’altro genitore è d’accordo o non c’è. Poco o niente. Non solo perché in passato, per casi simili o in qualche modo assimilabili, parte della giurisprudenza minorile già era giunta a disporre adozione, con un’interpretazione estensiva incentrata da una parte sulla priorità dell’interesse minorile e dall’altra sul fatto che esso articolo 44 non ha mai escluso che, in determinati casi, adottante potesse essere un singolo o una coppia non coniugata. Molto poco anche perché il ddl Cirinnà bis, una volta introdotta un’“unione civile tra persone dello stesso sesso” con diritti e doveri pari quasi in tutto a quelli derivanti dal matrimonio, quanto alla stepchild adoption non ha più nulla da dare. Di fatto accorda “un nulla d’oro rilegato d’argento”, come celiando amava rispondere mia madre quando le chiedevo cosa mi avrebbe regalato per il compleanno. Perché l’articolo 44 aveva già tutto in nuce, da sempre prevedeva l’adozione da parte del “coniuge nel caso in cui il minore sia figlio anche adottivo dell’altro coniuge” e l’articolo 3 del primo e del secondo ddl Cirinnà recitava e recita: “Ad ogni effetto, all’unione civile si applicano tutte le disposizioni di legge previste per il matrimonio ad esclusione della disciplina di cui all’articolo 6 legge 4.5.1983 (adozione legittimante, ndr). La parte dell’unione civile è equiparata al coniuge per ogni effetto”. Nulla d’oro rilegato d’argento perché l’articolo 5 del ddl Cirinnà bis niente concede quanto all’adozione, non ha alcuna efficacia costitutiva e non fa altro che esplicitare, rigirando qualche parola e questa volta con puntuale riferimento all’art. 44, quello che sarebbe l’imprescindibile effetto dell’“unione civile” appena ideata. Insomma il ddl vuole introdurre solo l’unione civile “pretesa” dall’Europa, tutto il resto è fuffa, automatica conseguenza nei limiti e per gli effetti di cui all’articolo 44.

 

Ddl vacuo, equilibrista e forse furbetto. Ma ciononostante a rischio di contestazione, le solite barricate di piazza, almeno per quanto si sente e legge. Perché innanzitutto sarebbe in contrasto con la Costituzione e con quello che pensa la maggioranza della gente, così sovvertendo princìpi fondamentali legati alla genitorialità e alla famiglia. Perché, inoltre, sarebbe ridondante, bastando in luogo dell’“unione civile” una semplice ricognizione dei vigenti diritti di convivenza e, in luogo della stepchild, anche onde evitare il prevedibile ricorso all’“utero in affitto”, la regolamentazione di un “affido rinforzato”. “Ma noi ci amiamo teneramente da tanto tempo e vogliamo sposarci per creare una famiglia solidale e stabile davanti a tutti”, protestano Paolo e Sandro, due miei amici omosessuali e lo stesso gridano Giovanna e Amalia. “Ma avete letto il rapporto della Commissione Plenaria di Strasburgo? Tutta l’Europa aspetta che vi decidiate, siamo gli ultimi o quasi”, continuano. “Zitti voi sporcaccioni, guardatevi tra le gambe e vergognatevi!”, urla l’angelo vendicatore. Mentre scrivo mi torna in mente don Alfredo, detto “ ‘o cardillo” per via della passione della sua vita, catturare qualsiasi specie ornitologica ed allevare canarini cardellini e verdoni, indefessamente. Ero bambino e lo ammiravo e lo invidiavo per la sua capacità di acchiappare qualsiasi uccellino delle gabbie e, dopo aver soffiato tra le piume del ventre del poveretto saldamente in pugno, di sentenziare sul sesso in un attimo per poi accoppiarli per la cova: è maschio, è femmina, e ancora maschio ancora femmina, per quanto ne so senza mai sbagliare. “E’ per questo che intendono opporsi i contestatori di quel poco o nulla? Non è sufficiente che due persone si amino e decidano di consacrare una famiglia? Non è chiaro che alle radici di paternità e maternità c’è solo amore e che questo basta?”, mi chiedo sollecitato dal ricordo di don Alfredo ‘o cardillo.

 

[**Video_box_2**]Quando discettavamo su simili problematiche, in tempi passati, si era tutti decisamente contrari a che una coppia omosessuale potesse avere in affidamento un bimbo abbandonato. Per adattamento evoluzionistico occorrono il modello del maschio e quello della donna, l’autorità e l’affetto, ci dicevamo. Mai e poi mai affidare un cucciolo d’uomo in adozione a due dello stesso sesso, naturalmente solo se sono invece disponibili un babbo e una mamma rassicurantemente “normali”. Nulla di peregrino ma qui è un’altra storia, cari oppositori. C’è una reale situazione familiare che può essere nido d’amore e che voi volete rendere trappola. Ipotesi: se due persone si amano e decidono di far nascere un’unione stabile assieme al figlio di uno dei due, che sta già con loro perché mancano alternative migliori, prima di decidere occorre guardare cos’hanno sotto le vesti? Dobbiamo cercare una coppia affidataria etero se un bambino perde i genitori e resta orfano con due zii o un solo nonno? Se da una coppia di lesbiche nasce un bimbo – lo si può vietare? – questo va allontanato da loro e affidato a una santa coppia etero oppure due pesi e due misure? O invece contano solo amore, afflato relazionale, determinazione e serietà familiare, capacità educative? “Ma non facciamo gli ingenui, la stepchild adoption è il varco per l’utero in affitto”, tuonano ancora gli oppositori. “Perché pensate questa fesseria?”, vorrei chiedere. Sono due cose completamente diverse, il diavolo e l’acqua santa. La prima serve solo ad assicurare conforto a quel bimbo che vuole vivere, l’altro (che brutto termine! Chiamiamolo Gestazione Per Altro, GPA) serve agli adulti e per ora è fuori legge. Per un bimbo la differenza la fa l’essere o non ancora essere al mondo. Né in natura né tra i principii ordinamentali esiste il diritto alla genitorialità. E nemmeno si può parlare seriamente di diritto a nascere per chi non è ancora concepito e che proprio perché non c’è – viva La Palisse – non può chiedere e aspettarsi nulla e anzi un giorno potrebbe recriminare per quel giocattoluccio voluto da babbo e mamma a tutti i costi, perfino a spese d’altri. Restano questione adultocentrica i temi della fecondazione assistita – eterologa o meno, anonima o meno – e dell’utero in affitto ossia GPA. Questione di adulti, secondo tanti un pensiero folle quello di imporre la vita anche a discapito della dignità delle persone “utilizzate” e voler far crescere un cucciolo d’uomo senza la precisa conoscenza della propria origine di sangue (conditio sine qua non per poter definire un proprio io) o in un contesto artificiale o con il dubbio – se non la consapevolezza – di essere frutto di dolore, ossia di una violenta separazione da chi lo ha concepito o cresciuto in grembo. Ma l’adozione è un’altra cosa, fugate ogni timore cari oppositori. E’ dare amore e sicurezza a un bambino che è già al mondo e che altrimenti resterebbe deprivato, fragile, abbandonato, solo. Tutte diverse le motivazioni, radicalmente diverse. E in tal caso tutto deve convergere verso il suo benessere. Alleluia allora per una qualsiasi presa d’atto della realtà e dunque alleluia per adozione (soprattutto a distanza), affidamento e da ultimo stepchild adoption, ci mancherebbe altro.

 

Restano comunque alcuni problemi, per fortuna tutti superabili. Le giustificate preoccupazioni costituzionali (art. 29) verrebbero fugate da un’adeguata maggioranza trasversale di fatto costituente. Quanto alla stepchild adoption il ddl si limita a richiamare l’articolo 44 senza dare il dovuto risalto alla sacrosanta necessità, prevista come essenziale dal successivo articolo 46, che ci sia l’assenso di entrambi i genitori dell’adottando. E il più importante: non è chiarissimo il principio di laicità secondo cui, per le coppie gay, si debba introdurre un istituto nuovo come l’unione civile e non un matrimonio assolutamente egualitario. Che prima o dopo verrà preteso e concesso visto che potrebbero essere di ostacolo solo le preoccupazioni – a dir il vero nel nostro caso smaccatamente irragionevoli – del mitico don Alfredo o’ cardillo, allevatore emerito. Ma per ora accontentiamoci, mattone su mattone cresce la casa.

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