Il populismo e Via Solferino (problemino)

Maurizio Crippa
Parlare di populismo in casa dell’impiccato è una bella passeggiata d’equilibrio sulla corda tesa. Ma Pierluigi Battista è intellettuale attrezzato e lo fa da par suo, ieri sul Corriere della Sera.

Parlare di populismo in casa dell’impiccato è una bella passeggiata d’equilibrio sulla corda tesa. Ma Pierluigi Battista è intellettuale attrezzato e lo fa da par suo, ieri sul Corriere della Sera. Riflette, con molte ragioni, sul fatto che “populista” vale ormai come un insulto, è il “fascista” del nuovo secolo e non una categoria politica. L’accusa di populismo è il “fallo di reazione” contro il popolo – che “sempre più di malavoglia” la retorica democratica definisce “sovrano”. Il popolo che in mille modi, non sempre uguali, si oppone, muove critiche, non ne può più dell’establishment politico. Ad esso, da parte delle élite o delle euroburocrazie, si risponde “con alterigia” sfoderando appunto l’accusa definitiva, con tutti gli aggettivi qualificativi del caso. E adesso che c’è il fenomeno Le Pen, l’arma contundente “populismo” diventa una parola d’ordine. Invece, ragiona Battista, si dovrebbe provare quantomeno a prendere sul serio ciò che quelle critiche al sistema (a qualunque sistema) covano ed esprimono. Anziché trincerarsi in una difesa a oltranza e miope. In tutto questo, nota Battista, rischia di andar di mezzo, o è già andata di mezzo, l’Europa, “o l’illusione che l’Europa potesse essere qualcosa di diverso”.

 

Tutto giusto, ma poi rimane un problemino, quello della corda in casa dell’impiccato – e ovviamente la colpa non è di Battista, anzi forse è un merito indiretto averlo evocato – che lì, dalle parti di Via Solferino, qualcuno dovrebbe porsi. Il problemino è che il Corriere è pur sempre la casa ospitale di Stella & Rizzo, che hanno innaffiato per anni la malapianta della “casta”, base di ogni populismo all’italiana; che ora su Roma-Mafia Capitale, per fare un esempio, si sono buttatti non esattamente dalla parte di una sana critica della politica, ma dell’ululato di piazza. E’ la (ex) casa di un direttore che se n’è andato denunciando “l’odore stantio di massoneria”, il massimo insulto anti-establishment che si possa lanciare alla politica. Il Corriere è la casa madre di quel “populismo d’establishment” che ha guardato con umana simpatia i Grillo e i Podemos e gli Tsipras (purché pencolassero a sinistra). E ora che tutta l’Europa “civile e democratica” ha paura della Le Pen (e soprattutto del piccolo Le Pen italiano, Matteo Salvini), al Corriere dovrebbero cercare in casa loro dov’è che il popolo ha trovato la corda populista per impiccarla, la democrazia.

  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"