La stilista Mariuccia Mandelli, in arte Krizia tra alcune modelle prima di una sfilata (foto LaPresse)

Addio a Krizia, stilista d'avanguardia a cui è mancato un manager

Michele Masneri
Si chiamava Mariuccia ed è stata una delle prime, forse la prima, a buttarsi nell’agone del prêt à porter “iconico”. Le sue pantere hanno girato il mondo, conquistando soprattutto il Giappone. Poi il successo negli anni Ottanta, la crisi nei Novanta. E' stata una Prada 1.0 a cui però mancò un Bertelli, un manager coniuge.

Si chiamava Mariuccia, nome da solide borghesie come la sua, bergamasca, un concorso e poi la cattedra di maestra elementare tra la Brianza e Bergamo. “Krizia” fu nome d’arte calibrato sul Crizia filosofo greco, alta borghesia ateniese, zio di Platone cui è dedicato un dialogo; nome d’arte preso già nel 1954 quando altre celebrità stilistiche milanesi e non ancora si dedicavano all’arte vetrinistica; perché Mariuccia Mandelli è stata una delle prime, forse la prima, a buttarsi nell’agone del prêt à porter naturalmente “iconico”; prima degli Armani e dei Versace, con invenzioni anche importanti, “i plissé-armatura”, come sottolinea un addetto a lavori e memorie, e le grandi maglierie coi felini; tigri e leoni, e soprattutto tante pantere, sinuose, in bianco e nero, da sculture anni Trenta o cofani di berline Bugatti. I felini di Krizia spopolavano soprattutto in Giappone, in anni in cui la Cina era ancora poco propensa ai consumi e non esistevano coree del Sud né tigri asiatiche capaci di apprezzare lussi occidentali.

 

Fu la prima a capire il colossale business delle licenze (profumi, pelletteria, financo le mattonelle con le pantere di Krizia, se ne vedevano in cessi aspirazionali di villette anche della società civile prima di restauri degli anni Duemila). E se le origini erano borghesi, il cursus honorum era stato, sebbene anticipatorio, classico da stilista milanese: gli inizi pionieristici e gloriosi (le valigie riempite delle sue creazioni, smerciate nelle boutique milanesi, una passione per vestire le bambole); la rapida consacrazione con vasti consumi vistosi (un’isola privata ai Caraibi con – come usava in quegli anni – apposito resort brandizzato K Club), il ritratto d’Andy Warhol che ne immortalava la frangetta architettonica.

 

Erano del resto gli anni Ottanta: ed esplodere in quel decennio a Milano bastò poi a farla ricordare soprattutto per una vicinanza al craxismo, vicinanza riluttante come dimostrò una lettera mandata proprio al Foglio, in cui smentiva d’essere stata la stilista d’Anna Craxi; anche se la notizia non costituiva reato, ma si era agli inizi della seconda repubblica, la damnatio memoriae era diffusa ormai più delle pantere. Si era già nei Novanta, e cominciavano i tempi duri anche per gli stilisti: loro proletarizzazione e trasformazione in commodities ad alto tasso di sostituibilità: nascevano colossi come Lvmh o Ppr, iniziava la caccia a vecchi marchi da spolverare e far rifulgere (Gucci), il tutto grazie a manager poco creativi ma molto pragmatici che potevano essere morosi, mariti o prezzolati, ma che erano ormai necessari più del “creativo”. Grazie ai manager andavano avanti vecchi marchi (Armani, Versace) e ne nascevano di nuovi (Prada). E proprio con la massima autorità stilistica odierna, in fondo, Krizia aveva tanto in comune; non solo l’innovazione, la sperimentazione di nuovi materiali (la maglieria, appunto) ma anche una curiosità culturale non da ufficio stampa ma sincera: collaborazioni con Carmelo Bene per Adelchi storici al Piccolo Teatro; l’acquisto di una quota della casa editrice La Tartaruga; contaminazioni “alte” anche in famiglia  (la sorella Giancarla Mandelli sposerà il grande regista Franco Rosi).

 

[**Video_box_2**]Tutto questo ne faceva una Prada 1.0; le mancò però un Bertelli, un manager coniuge; nello specifico il marito Aldo Pinto, fratello del più noto architetto Piero, parve non essere all’altezza ("La prima volta a casa di suo fratello vidi un pazzerellone che stappava bottiglie di champagne, veniva da un mondo diverso, voleva divertirsi mentre io ero la classica brava ragazza lavoratrice", disse a Repubblica). Né andò meglio con i di lui figli, che presero poi in mano l'azienda. Di lì il lento declino, e poi la vendita recente a questa designer cinese non di primissima categoria. Era Mariuccia, insomma; ma avrebbe potuto essere Miuccia.

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