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Dietro lo stalking c'è l'ultimo disastro della flemmatica giustizia italiana

Piero Tony
Esclama incredulo il vecchio amico Steve che da più di un’ora mi tartassa interrogandomi sulle prassi della giustizia italiana, della quale in passato mi sono occupato a lungo: “Non è possibile, è un vero e proprio calvario!”.

Esclama incredulo il vecchio amico Steve che da più di un’ora mi tartassa interrogandomi sulle prassi della giustizia italiana, della quale in passato mi sono occupato a lungo: “Non è possibile, è un vero e proprio calvario!”. “Non è possibile!”, ripete bofonchiando mentre gli sorrido un po’ vergognoso. “Vuoi dire che se un ex partner fa stalking sulla donna indifesa terrorizzandola in continuazione, che se al riparo dai muri domestici un padre padrone fa abituale violenza su consorte e prole, che se tutto ciò accade non scatta alcuna concreta, severa e immediata difesa da parte del sistema giustizia? Vuoi dire che non succede niente se un cliente deluso da una condanna si diletta in continui atti persecutori contro l’avvocato e la sua famiglia o se un altro imbecille, deluso dal recidivarsi della malattia, prende a tormentare incessantemente il chirurgo con minacce e molestie tali da indurlo a pensare all’espatrio, o se uno tormenta senza sosta il giornalista per un articolo sgradito?”. “Non è proprio così”. “Guarda, mi sto innervosendo per un tono che trovo antipatico e irrispettoso nei confronti miei e della patria, se la storia non appare ictu oculi assurda si interviene attivando indagini preliminari per capire se è il caso di fare un processo o…”.

 

“Con le fiabe dello stento? Le solite procedure previste per un ladro o un rapinatore?”. “E’ chiaro, pretenderesti tribunali speciali?! Ci mancherebbe altro, in uno stato di diritto impera l’unicità della giurisdizione, da noi regolata addirittura dalla Costituzione, l’art. 102 se ti interessa”. “Ma non hai detto mezz’ora fa che il primo problema della giustizia italiana è una lentezza che si sgrana in lungaggini di anni?”. “Si, è vero, ma le garanzie per l’indagato non sono un optional, caro il mio Steve!”. “Vuoi dire che se una donna finalmente trova il coraggio di denunciare che il marito la massacra di botte a ogni discussione e che la sera la violenta tra i fumi dell’alcol e qualche volta alla presenza della prole terrorizzata, o che i figli vengono educati a suon di calci e sganassoni voi lasciate correre?”. “Reazione superficiale ed emotiva la tua, dovresti riflettere sulla terzietà di…”. “Vuoi dire che se una donna decide di interrompere una relazione ma viene maltrattata dall’incazzatissimo omaccione, offesissimo per lo smacco subìto, non viene subito difesa dallo stato ma resta in balìa del suo aguzzino? Che il feroce bruto può impunemente continuare a perseguitarla, insultarla, picchiarla, intimidirla, minacciarla finanche di morte? Per Intervenire aspettate che l’ammazzi?”. “Come al solito esageri! Sicuramente prima o dopo iscriviamo la Cnr cioè la notizia di reato e poi…”. “E poi?”. “E poi la donna va interrogata al fine di approfondire, è dato di comune esperienza – ed è l’ordine naturale delle cose – che potrebbe essere solo una calunnia dettata da rabbia o vendetta e…”. “Ma quando arriva a casa il vostro atto di citazione il marito convivente s’incazza ancora di più e…”. “Non necessariamente, credi che siamo così sprovveduti? Tentiamo sempre di contattarla a sua insaputa, quando lui è al lavoro, qualche volta ci riesce”; “Ma non vi viene in mente che si possa trattare di malattia da curare, malattia della persona o del rapporto? Che andrebbe pensata e organizzata una tutela immediata che rompa l’isolamento di chi è vittima inerme di ferocia incontrollata? Qualcosa come – con buona pace per l’alleanza terapeutica – una terapia obbligatoria, un tentativo di mediazione o almeno un ammonimento scandito ad alta voce e ultimativo, una presa in carico da parte di qualche centro socio-sanitario e non invece un semplice processo da ladri?”. “Non esageriamo con le critiche! Se le accuse sono gravi può essere disposta una misura cautelare: il divieto di avvicinarsi al domicilio di lei, oppure gli arresti domiciliari o addirittura il carcere”. “Misure cautelari a vita, carcere cautelare per tutta la vita? Solo così avrebbe un senso perché altrimenti quando esce…”. “Caro Steve, non si scherza sulle cose serie! le misure cautelari hanno dei termini di durata massima, lo sanno anche i sassi ed è giusto che sia così!”. “E allora è facile immaginare cosa possa succedere quando l’oltraggiato energumeno, l’offesissimo omaccione torni libero nello stesso contesto di vita, tale e quale come era prima ma ancora più incazzato, visto che quella svergognata lì si è permessa di denunciarlo! E’ facile immaginarlo anche per una lunga esperienza di cui avreste dovuto far tesoro se non foste quelli che siete, per quello che – a quanto si legge – da voi accade troppo spesso, che una povera vittima faccia una fine ancora più tragica dopo aver trovato il coraggio di denunciare affidandosi alla giustizia”. “Ancora ritornelli, come al solito con i tuoi discorsi cadi sempre nella politica, sarebbe ora di finirla!”. “E allora io torno al mio paese e chi s’è visto s’è visto!”. Ecco, questo è un dialogo immaginario ma non campato sulle nuvole. Perché in effetti la generica e tradizionale risposta penale nei casi di stalking (articolo 612 bis codice penale) e di maltrattamenti (articolo 572) – l’usuale flemma della giurisdizione italiana, per intenderci – non solo non risolve ma spesso attizza, come chiaramente emerge non da rarefatte intuizioni sociologiche ma dai “mattinali” che quotidianamente grandinano su ogni ufficio giudiziario italiano. E non è incoraggiante che ancora oggi ci si concentri sulla riforma delle ferie dei magistrati anziché su di una risposta razionale da opporre a simili comportamenti criminali, sempre più diffusi non solo per una perdurante subcultura di possesso e lo scadimento di alcuni valori – li vuoi chiamare tabù? – ma soprattutto per l’aumentata mobilità relazionale anche famigliare, per i minori controlli sociali, per la solitudine di nuclei metropolitani ogni giorno più complessi e multietnici.

 

[**Video_box_2**]Mi pare terribile e inaccettabile. Oggi le cosiddette fasce deboli vivono troppo spesso disperatamente anzi disperatissimamente senza alcuna concreta tutela e le ragioni sono semplici ed evidenti: notoria lentezza e conseguente ineffettività della reazione giudiziaria nonché diffusa inefficienza dei presìdii sociosanitari quanto a reali attività di controllo, sostegno, orientamento e cura. Diamoci una scossa, signori governanti. Come ormai dappertutto nei paesi meno arretrati il procedimento penale dovrebbe invece svilupparsi, quantomeno per i reati di maltrattamenti e di stalking, con andamento non solo assolutamente prioritario (vi ricordate la remota raccomandazione 1987 del Comitato dei ministri dell’Unione europea?) ma anche interdisciplinare, dovrebbe cioè progredire in concomitanza di un parallelo trattamento delle criticità mediante terapie socio-sanitarie, le più opportune. Effettuando un riallineamento delle dinamiche conflittuali, una presa di coscienza contrattata tra le parti e la responsabilizzazione dell’autore. Pena e cura insomma. In modo che il bruto, dopo un’immediata ed esemplare punizione, torni alla vita davvero diverso e soprattutto consapevole che è tutto il sistema sociale a non consentirgli vergognose prepotenze e a difendere la vittima dalle conseguenze della sua condotta delinquenziale. E’ anche un modo perché almeno per reati così gravi trovi finalmente attuazione l’imperativo rieducativo dell’articolo 27 della nostra Costituzione, solitamente disatteso. Altrimenti resta il pesante rischio del sasso in piccionaia, notoriamente pernicioso, e tanta ingiustizia.

 

Piero Tony è ex procuratore capo di Prato, iscritto per una vita a Magistratura democratica, autore con Claudio Cerasa del libro contro la gogna giudiziaria “Io non posso tacere” (Einaudi), comincia da oggi la sua collaborazione con il Foglio

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