Milano, l'asta dei memorabilia di Mike Bongiorno (foto LaPresse)

All'asta dei cimeli di Bongiorno, tra “allegria” e ricordi trash

Stefano Sgambati
Alla casa d’aste “Il Ponte” si battono i cimeli di Mike Bongiorno, i “memorabilia” di una vita. E’ la festa di un morto che vive. Umberto Eco nel suo “Diario minimo” scriveva: “Mike Bongiorno ignora la dimensione tragica della vita”. E’ ancora così.

Per cominciare come si deve, visto che l’evento trasuda Milano, Milano per bene, Milano borghese, dovrei dire che mi trovo in Brera, non a Brera: non è questione di locuzione corretta o sbagliata ma di aderire a un culto d’appartenenza. Via Pontaccio, fermata Metro Lanza, Teatro Strehler, Corso Garibaldi, pavè e barbieri storici, cinesi attoniti e modelle che si sfilano il capello peccaminoso dall’angolo della bocca mentre attraversano. Alla casa d’aste “Il Ponte” si battono i cimeli di Mike Bongiorno, i “memorabilia” di una vita, non solo trash, (la giacca a vento con cui il presentatore soleva sciare sul Cervino, la parrucca cotonata degli spot con Fiorello, le cravatte Marinella regalo di Silvio), ma pure bijoux d’arredo, gli argenti, tantissimi argenti, quadri, vasellame, poltrone stile “impero”, portasigari, spazzole. Clima da cocktail party anni Cinquanta un po’ kitsch: sciure sospettosamente over ottanta basculanti su scarpe ortopediche e dita inanellate che sollevandosi per puntare su un gigantesco olio su tela attribuito a Jean Luis Erns Meissonier (nome pronunciato perfettamente tra otturazioni e ceramica varia) assomigliano a satelliti o peggio, a navi aliene lì lì per distruggere la Terra.

 

Tutte vedove, si guardano in modo enigmatico. Forse riconoscono tra loro antiche amanti, nemiche di corte. Commentano con cognizione di causa il portale di pietra di Palazzo Crivelli, l’arco inquadrato da lesene, le balaustre in pietra finemente lavorate, espressione del barocchetto lombardo. Borse Louis Vitton, occhiali appesi al collo con catenine d’oro baluginanti: un accecante leopardato, moltissima pelliccia appena fuori stagione. Sulle dita smalti rossi stesi benissimo che mal si conciliano con un leggero Parkinson. A un certo punto capisco: sono tutte riproduzioni, anche se in leggera scala e di certo più tumefatta, della signora Daniela, moglie del Sommo, altrettanto vedova, a sua volta presente, blusa da marinaio, pantalone a tubo, capello da diva del cinema. Di spalle: una ventottenne fresca di giro in spider col belloccio; davanti: una sfinge. Austera, elegante, un po’ paurosa, ma una sfinge. Mentre arringa e ringrazia la sala, (“Vedo molti amici presenti, grazie!”, con leggero e conseguente abbassamento di capo di tutte le siure di cui sopra, all’unisono), spiega in soldoni lo scopo dell’asta, promossa dalla Fondazione Bongiorno, cioè riqualificare col ricavato il quartiere periferico Gratosoglio, ove sorgerà trionfante, un po’ berlusconiana,“Piazza Allegria”, futuro centro nevralgico della zona, panchine, fontanelle, tantissima utilità sociale, forse addirittura socialista, di sicuro nemmeno l’ombra di un obelisco o una piramide, niente di niente: la crisi?

 

Presenza di giornalisti e telecamere: livello Superbowl.

 

Si freme per il collegamento con “La vita in diretta”. La stessa Daniela, dalla prima fila, a un certo punto si alza e suggerisce al battitore di rallentare perché altrimenti “rischiamo di finire prima che ci diano la linea”. Usa un linguaggio da presentatrice tv, si riavvia i capelli con polso sicuro nella sua taglia “Kate Moss”.

 

C’è un clima severo da Biblioteca Braidense ma certi poster alle pareti tradiscono: un po’ in bianco e nero, un po’ a colori riconosco delle versioni giovanissime di Umberto Smaila, Ezio Greggio, Sandra e Raimondo, Gigi Sabani, Predolin. Tutti con Mike, col Mike sempre identico a se stesso, quello che è arrivato fino alla fine senza cambiare mai. Adesso entra in smoking bianco, penso; e mi giro verso l’entrata.

 

Si alzano palette, cerco di scendere a patti col meccanismo dell’asta, la commissione scritta, la commissione telefonica, le offerte online: è tutto stranissimo. Gli acquirenti sono collezionisti, titolari di gioiellerie, appassionati, amici. Giorgio Forattini, capelli lunghi, bianchissimi, da rockstar fuori servizio, sguscia tra le file di sedie e si accomoda in fondo alla sala. Per poco meno di duemila euro acquista una cornice del sec. XIX in legno intagliato, dorato e traforato di forma sagomata contenente dodici ritratti di Napoleone e della sua famiglia. È sconvolgente pensare che esistano persone con appartamenti in grado di ospitare complementi del genere. Cerco di tracciare una rispondenza tra l’oggetto venduto, ad esempio un’oleografia intelata da Felice Zennaro, “Battaglia di Bezzecca”, (cm 57x100), in cornice laccata e dorata, e il suo acquirente, in questo caso un uomo di almeno duecento chili di peso sosia in tutto e per tutto di Giovanni Spadolini, ma non ci riesco. Sono ricchi, potrebbero avere tutto e invece vogliono una manifattura italiana del secolo XX di porcellana pura decorata e doratura con applicazioni in metallo (base d’asta mille euro). Chi sono? Certo, alcuni sono lì per affari, ma proprio davanti a me un uomo e una donna (l’unica coppia del consesso) si guardano e a ogni nuovo lotto lui chiede a lei a bassa voce: “Lo vuoi?”, oppure: “Ti piace?” e se lei lo vuole o le piace lui alza la paletta. È puro piacere. È puro tempo da riempire. Firma ricevute su ricevute, si porta via cose tipo un tavolino da salotto rettangolare con profili intagliati e decorati a motivi vegetali e piedi ferini: provo a visualizzare la lunga sequenza di atti con cui sceglieranno il posto migliore dove ubicarlo in casa, la piccola fila indiana di amici ottuagenari che verranno a vederlo, polpastrelli crespi passati sopra, volti che annuiscono sereni, una vecchiaia languida e orgogliosa, portasigari in radica filettata, vecchie Jaguar in garage destinate ai nipoti, la casa in Franciacorta.

 

Come in una sala Bingo le sciure, catalogo sulle ginocchia, segnano accanto a ogni lotto venduto la base d’asta e il prezzo effettivo di vendita. Ne ignoro i motivi finché una non me lo dice sorridendomi: “Per passare il tempo…”.

 

In quel sorriso scorgo in filigrana la ventenne che avrei corteggiato.

 

Il lotto più pagato è un gruppo di sei medaglioni raffiguranti profili di imperatori romani, applicati su pannelli in marmo bianco di forma ottagonale e cornici di ottone (2800 euro, dopo un sanguinario confronto in sala a colpi di rilanci drammatici). C’è perfino un porta-toast d’argento (invenduto. Il battitore: “Se ci metto anche il toast, quanto mi offrite?”. Risate).

 

Gran finale con Madame Bongiorno davanti alle telecamere di Cristina Parodi, in diretta, insieme al figlio Leonardo, che ringrazia urbi et orbi: il riflettore puntato fonde le due figure abbracciate. Lui, il ragazzo, ancora così sorprendentemente implume, è spigliato da morire: penso ai cromosomi, al DNA. In quel corpo, da qualche parte, suo padre c’è. Tutti sorridono e continuano a farlo anche quando il collegamento si chiude. Stringono mani, abbracciano moltissimo.

 

[**Video_box_2**]È la festa di un morto che vive.

 

Umberto Eco nel suo “Diario minimo” scriveva: “Mike Bongiorno ignora la dimensione tragica della vita”.

 

È ancora così.

 

Allegria.

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