Fermi tutti! Sulla Terra dei fuochi (fatui) abbiamo “pazziato”

Luciano Capone
Solo il 3,8 per cento dei terreni campani presenta criticità, dice uno studio. Chi si è convertito e chi ora dovrà fare mea culpa

Milano. Il Foglio l’aveva ribattezzata “Terra dei fuochi fatui”. Sin dall’inizio la campagna mediatica attorno alla Terra dei fuochi e ai suoi prodotti agricoli avvelenati dai rifiuti tossici sotterrati dalla camorra aveva i contorni di un racconto che aveva poco a che fare con la realtà. Bastava guardare i fatti e soprattutto ciò che dicevano i medici, l’Asl, l’Istituto superiore di sanità, i magistrati, l’Arpac e i risultati della commissione interministeriale secondo cui solo il 2 per cento dei terreni agricoli era a rischio. E invece no. Roberto Saviano bollava i risultati della commissione come una “menzogna” che aveva il solo obiettivo di “minimizzare”. Sotterrare la verità, come facevano i camorristi con i rifiuti. E giornali e televisioni preferivano credere proprio ai camorristi, alle rivelazioni senza fondamento di un pentito screditato come Carmine Schiavone, ospite fisso nei talk-show, che per il magistrato anti casalesi Raffaele Cantone diceva solo “un cumulo di stupidaggini”. Ma la narrazione dell’apocalisse alimentare, della Chernobyl alla pummarola andava avanti spedita parlando di fragole avvelenate con preti-simbolo come don Maurizio Patriciello che malediceva i pomodori sull’altare. Intanto il settore agroalimentare campano tracollava per le ferite di un autolesionismo ingiustificato, per quell’etichetta “terra dei veleni” che sarà difficile togliersi dopo che è stata ripresa dai media internazionali. Ma le cose stanno diversamente.

 

Quanto più la bolla mediatica si gonfiava tanto più si allontanava dalla realtà e ora è arrivata al punto d’esplosione. Intervenendo all’Expo il presidente della regione Campania Vincenzo De Luca ha dichiarato che “il 97 per cento della Campania è sano e incontaminato. I prodotti del nostro territorio sono innocenti, ora lo sappiamo con certezza sulla base di dati scientifici inconfutabili”. I dati sono quelli raccolti da “Campania trasparente”, un piano di monitoraggio integrato condotto dalla regione e dall’Istituto zooprofilattico d’intesa con il ministero della Salute, l’Istituto superiore della sanità, l’Organizzazione mondiale della sanità, il Corpo Forestale, le università e un comitato scientifico di garanzia presieduto dal prof. Bruno Basso dell’Università del Michigan. “Il cibo campano è innocente e ora abbiamo le prove – dice al Foglio Antonio Limone, commissario dell’Istituto zooprofilattico del Mezzogiorno e responsabile del progetto – ci sono 20 mila dati che ci fanno dire queste cose, niente negazionisti né urlatori”. 

 

[**Video_box_2**]Lo studio è “una fotografia di tutto il territorio campano, da cui si evince che solo il 3,8 per cento dei suoli presenta criticità”, risultati che coincidono con quelli della commissione interministeriale ma che sono molto più ampi, visto che le indagini oltre al suolo hanno riguardato le acque, l’aria, l’area medica con analisi su sangue, sperma e latte materno, i prodotti vegetali e gli animali. I controlli tra l’altro sono stati maggiori nelle aree con maggiore intensità di rischio: “I terreni contaminati sono stati già sottratti all’agricoltura, i prodotti campani sono sicurissimi”, dice Limone. Come se ciò non bastasse, uno dei responsabili del piano di monitoraggio è il generale Sergio Costa, comandante del Corpo forestale campano, uno degli allarmisti della prima ora e sodale di don Patriciello nella battaglia anti veleni. Il prete malediceva i pomodori, ora il suo amico generale li benedice. Che conversione.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali