Minority Report

Perché a Expo il vero spettacolo è la gente, non il messaggio

Giovanni Maddalena
Sì, ci va tanta gente: ottimo per l’Italia, in tutti i sensi. Non si può che rallegrarsene in tempi di crisi. Ma la gente è anche il bello di Expo, anzi è lo spettacolo più interessante della grande Fiera internazionale, e forse anche l’unico decisivo.

Il successo di Expo è la gente. Sì, ci va tanta gente: ottimo per l’Italia, in tutti i sensi. Non si può che rallegrarsene in tempi di crisi. Ma la gente è anche il bello di Expo, anzi è lo spettacolo più interessante della grande Fiera internazionale, e forse anche l’unico decisivo.

 

La gente comune, di molte nazionalità, ma soprattutto italiana, che si accalca ai tornelli d’ingresso con i trolley e gli zainetti, che si riversa sul decumano inventato della città artificiale. La gente grassa, magra, bella, brutta, colorata, che si accalca agli stand di Paesi spesso sconosciuti, dall’Oman al Turkmenistan, dall’Angola all’Ecuador. La gente che si siede all’albero della vita per 5 minuti di spettacolo o che si spintona per vedere un gruppo folkloristico cileno o che fa la fila per dimenarsi per qualche secondo davanti a uno schermo dello stand della Coca-Cola. Che cosa cerca tutta questa gente? Che cosa dice senza dire, con il proprio comportamento?

 

Siamo fatti per il mondo. Innanzi tutto la curiosità di vedere tutti i Paesi, soprattutto i meno conosciuti (nel giorno in cui sono andato io lo stand statunitense era l’unico senza coda). Una sete di scoperta che non è venuta meno, nonostante le televisioni e i pessimi auspici degli intellettuali sulla cattiveria dei tempi. La totalità, il conoscere tutto, è una dimensione dell’animo umano e la Fiera universale da sempre solletica questa dimensione, ed è la ragione del suo successo.

 

[**Video_box_2**]Siamo fatti per una festa. La seconda dimensione costitutiva di noi esseri umani che Expo fa emergere è che ci piace festeggiare. I giorni lavorativi sono fatti per quello di riposo e, per quanto abituati a ogni forma di piacere a basso costo, l’idea di una festa, di essere contenti del bello e del buono, di essere liberi di fare ciò che piace davvero, continua ad attrarci. In questo, l’Expo non è diverso dalla sagra del tartufo di un paesino molisano. Ma ciò spiega anche il successo della sagra, non inficia quello dell’Expo.
Uscendo, uno si chiede se siamo stati felici, se gli altri lo saranno stati. E qui il retrogusto un po’ amaro dell’occasione non del tutto compiuta si sente. Con lodevoli eccezioni, ma gli stand non differiscono molto da quelli della sagra del tartufo o dei negozi per turisti degli aeroporti. Il contenuto è in ombra, a parte un generico apprezzamento dell’importanza del cibo. Il figlio undicenne di una mia amica dice che potevano chiamarlo “I cibi del mondo” invece di “Nutrire il pianeta”. Non ha torto: il messaggio è debole.
Quanto al divertimento, le novità tecnologiche non sono strabilianti e, forse, l’eccessiva statalizzazione degli stand non aiuta. Non c’è il meglio di ogni Paese, ma ogni Paese che fa del suo meglio. E se ha ragione Benjamin nel dire che nelle Fiere internazionali si dovrebbe vedere l’emergere della prossima arte, del prossimo capitolo della storia dello spirito umano, si capisce solo che siamo in un momento di ricerca, dove esprimiamo l’esigenza di forme nuove che uniscano il piacere di toccare una pianta vera o di camminare sulle corde grezze con il video sofisticato e velocissimo, e con ogni genere di musica. C’è sete di integrazione di forme diverse in un unico gesto significativo. Per ora, tuttavia, il significato non emerge, il gesto resta incompiuto e l’esigenza rimane un po’ più insoddisfatta di quanto non avvenga dopo ogni festa. Vale la pena andarci? Senz’altro, c’è il mondo ed è una festa, dove rimane lo spettacolo della gente comune, infinita passione per vita, felicità, mondo. Il vero spettacolo siamo noi.

 

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