Ammazza quella marmotta, per favore

Giulia Pompili
La caccia ai dolcissimi roditori è riaperta (in Alto Adige). Dopo vent’anni di protezione cominciano a essere troppi. I danni che fa regolamentare l’ecosistema alpino (altro che colpa del neoliberismo).

Il solito tempestivo Veltroni, si dirà, che titola il suo editoriale sulla nuova Unità con un evocativo “il giorno della marmotta, quello che fa da pretesto ad un famoso film americano, ‘Ricomincio da capo’, in cui tutti gli eventi del giorno sono identici a quelli del giorno prima”. Tempestivo, perché Walter pubblica il commento negli stessi giorni in cui l’assessore provinciale all’Agricoltura dell’Alto Adige, Arnold Schuler (Svp), firma il decreto riguardante l’autorizzazione dell’abbattimento di marmotte. Si riapre la caccia ai teneri animaletti alpini, e le associazioni animaliste sono di nuovo sul piede di guerra. Noi si tifa d’istinto per i grandi roditori delle vette, dalla socialità sorprendente, che vivono i mesi invernali in un placido letargo e si risvegliano più attive che mai in estate, nel Giorno della marmotta, appunto, quello legato alla luce e all’imminente ritorno della primavera. Le marmotte sono testimoni dei tempi antichi, lodate già ai tempi di Erodoto come le “formiche d’oro” (nel terzo libro delle Storie sono raccontate come formiche più piccole di cani, ma più grandi delle volpi, che scavando fanno uscire la sabbia aurifera) così come nell’Impero persiano erano chiamate le “formiche di montagna”.

 

Le marmotte sono specie protetta secondo la legge statale sulla caccia n. 157 del 1992, che punisce la loro uccisione con sanzioni penali. In Alto Adige però, la legge provinciale sull'attività venatoria dice che la marmotta è cacciabile se “a causa della sua eccessiva proliferazione mette a rischio l’equilibrio ecologico, l’agricoltura, la gestione forestale, la gestione ittica, la fauna selvatica o la pubblica sicurezza”. Del resto Schuler è un agricoltore, e sa che “i danni causati dagli scavi e dai cunicoli delle marmotte rappresentano, secondo i vertici del settore agricolo provinciale, un pericolo per l’economia dell’alpeggio nonostante i contributi versati ai contadini per la loro rifusione, in quanto la carenza di manodopera e l’impossibilità di utilizzare i macchinari rendono non economica la loro cura e risistemazione” (cito testuale da lastampa.it). E ancora, nel comunicato stampa della regione si legge: “Attualmente in Alto Adige si stima una popolazione di marmotte di circa 50.000 esemplari, risiedenti in circa 75.000 ettari. Nel 2015 sono stati denunciati danni ai prati da sfalcio, ai fienili, ai rifugi, ai bacini di raccolta lungo i corsi d’acqua. Per il 2015 il decreto prevede l’abbattimento di 958 marmotte, corrispondenti al 3 per cento della popolazione complessiva di 31.710 esemplari censiti nelle 40 riserve di caccia”. Senza considerare che i cacciatori italiani a sparare alle marmotte ci vanno lo stesso, sulle Alpi austriache e slovene, là dove è permesso.

 

[**Video_box_2**]Ma tralasciando i diritti dei cacciatori e i sacrosanti diritti delle marmotte, insomma tralasciando la questione in punta di diritto che si risolverà – come ogni anno – con esposti e ricorsi in tribunale, ciò che andrebbe evidenziato, anche a beneficio del cinefilo Veltroni, è un altro fattore. Dal 1992, quando le marmotte sono diventate specie protetta, qualcosa è cambiato nell’equilibrio delle Alpi. Quell’equilibrio lo conoscono ancora i vecchi altoatesini, che mangiavano la marmotta al lavècc, nella tradizionale pentola in pietra ollare, perché la carne piena di grasso del roditore aiutava a difendersi dal freddo. Tutto quell’ecosistema alpino, in cui l’uomo coltivava i suoi campi e le marmotte si lasciavano di tanto in tanto mangiare, è stato lentamente e scrupolosamente demolito. Se negli anni Novanta, per chiunque facesse una passeggiata sulle Alpi, l’incontro con una marmotta era vissuto come un evento, oggi non lo è più. In alcune zone sono talmente abituate all’uomo che scendono giù, fino all’ingresso della funivia così che tra qualche anno non sarà più necessario nemmeno camminare per avvistarle. Sono tante, tantissime, le marmotte, e il motivo viene anche dal fatto che per più di vent’anni abbiamo interrotto una catena alimentare naturale. E non è a quella catena virtuosa che appartiene il vile frequentatore della domenica a caccia del trofeo, ma vi appartiene il cacciatore alpino che sa riconoscere a occhio il numero di “unità” da abbattere per mantenere l’equilibrio. A volte la messa sotto tutela di alcune specie animali finisce per far peggio della natura stessa.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.