Il Monte Bianco e quel confine tra Italia e Francia: un problema di "grandeur"

Giovanni Battistuzzi
Il blocco dell'accesso al ghiacciaio del Monte Bianco dalla via del rifugio Torino da parte del sindaco di Chamonix, Francia, è un invasione. O così almeno la pensano alla regione Val d'Aosta. Da Napoleone a Mitterand la questione geografica si è legata a vicende politiche e sportive: il sogno del Tour sul Gigante e la risoluzione Bartali: "Lasciamoglielo, non gli rimane che quello".

Il blocco dell'accesso al ghiacciaio del Monte Bianco dalla via del rifugio Torino da parte del sindaco di Chamonix, Francia, è un invasione. O così almeno la pensano alla regione Val d'Aosta, tanto da chiedere l'intervento del governo. I fatti sono di ieri e sono querelle di confine e competenze. Il rifugio Torino è nel comune di Courmayer, Italia, a 3.371 metri sul livello del mare, nei pressi del colle del Gigante, a due passi dal punto d'inizio del ghiacciaio del Gigante, che però è glacier du Géant, Francia, e in queste zone la differenza di nome è sostanziale. Perché il Monte Bianco è confine tra noi e loro e non uno qualsiasi, non un Colle di Tenda o una Cima dei Tre vescovi a frapporsi a una linea immaginaria, ma la vetta più alta d'Europa.

 

"Il Monte Bianco è francese, come si può sostenere il contrario? Chi lo fa è uno sciocco, tutte le cose migliori sono francesi, lo sanno tutte. Anche quelle più alte", parola di Pierre Dac, comico francese, che sul confine realizzò una serie di sketch con Francis Blanche negli anni Sessanta. "Gli italiani hanno il pane tondo, noi le baguette, questo perché non guardano in alto, sono più bassi: il Monte Bianco è nostro. Me lo ha detto pure quello che per primo c'è salito, che era francese". La questione è semplice: "Grandeur. Che figura ci facciamo a fare i più bravi di tutti se non siamo i più alti d'Europa".

 

Questione non solo da comici però, anche politica. Il problema nasce nel 1792, il 27 novembre: Napoleone invade e conquista la Savoia e il re di Sardegna è costretto a cederla. Il confine viene fatto passare per il massiccio del Monte Bianco, secondo il concetto strategico delle creste militari: la più alta se la prendono i francesi vincenti, quella più bassa va al regno di Sardegna. Napoleone cade, la Savoia torna al regno, almeno sino al Trattato di Torino del 1860 con il quale Vittorio Emanuele II baratta la regione e Nizza con l'aiuto militare e diplomatico della Francia per unire l'Italia. E così ritorna il problema del confine. Nel protocollo di Nizza la cima viene data in condivisione, mezza italiana, mezza francese. Il documento è ufficiale (l'allegato 3), ma i francesi fanno finta di dimenticarsene e così cinque anni dopo nella carta topografica francese redatta dal capitano Jean-Joseph Mieulet la cima passa già in territorio francese e tanti saluti alla diplomazia.

 

Una dimenticanza che supera i secoli e arriva sino ai giorni nostri. Quando nel 1992 il presidente della repubblica Francese, François Mitterand, si complimenta per il buon esito delle Olimpiadi invernali francesi ad Albertville il tema ritorna: "Abbiamo fatto un gran risultato, non mi stupisco: il lavoro è stato impeccabile, degno della nazione più alta d'Europa". Vetta francese dunque. Arrivano conferme immediate dall'allora capo del Comitato Nazionale Olimpico e Sportivo Francese (il loro Coni), Nelson Paillou: "La cima è francese, lo dicono i libri di scuola". Inoppugnabile. Peccato che i nostri dicano altrettanto.

 

E così rimane marginale il fatto che la cima dovrebbe essere condivisa, meglio non dirlo. Soprattutto se la geografia si interseca con lo sport. Henri Desgrange, storico patron del Tour de France di questa condivisione non voleva sentire nemmeno parlare. "Il monte Bianco è francese e il Tour un giorno ci arriverà. Non in vetta, certo, ma il più vicino possibile. Farò costruire una strada, la cima più alta d'Europa deve essere della corsa più importante d'Europa". Una fissa antica. A Chamonix, alle pendici del monte, il Tour arrivò già nel 1911, ma il sogno di Desgrange era quello di portare la corsa sino al Glacier des Bossons, a oltre 2.600 metri sul livello del mare, lì dove già una mulattiera segnava il percorso verso il gigante. Il patron francese cercò in ogni modo di convincere i governi a intervenire, di far costruire una strada che portasse sino a lassù "perché il Tour è la Francia e la vetta d'Europa deve essere sua", perché "non si può lasciarla a quella cosa misera che è il Giro d'Italia", perché "se non lo facciamo noi che abbiamo inventato il ciclismo e che siamo il paese più grande d'Europa chi lo farà?", perché soprattutto, "ne va della nostra grandeur".

 

Ecco il punto: la grandeur senza la vetta d'Europa sarebbe meno grandeur. E poco importa se il Tour nonostante il monte Bianco grandioso è rimasto. Ancor meno se è da decenni che non viene vinto da un transalpino. La Francia continua a fregiarsi dell'emblema della cima più alta del continente, nonostante sia in Spagna la via carrabile più alta dell'unione (il Pico del Veleta) e in Italia quella ciclisticamente più transitata (il Passo dello Stelvio). Tanto vale pensare di lasciarglielo il gigante, che "tanto non gli resta che quello", come disse Gino Bartali dopo la vittoria della Grande Boucle del 1948, quando Jacques Goddet, successore alla direzione di Henri Desgrange, dichiarò: "Bobet  sarà un campione, la prossima edizione la vincerà lui e nei prossimi anni saliremo sul monte Bianco", minimizzando così il trionfo del toscano. Luison Bobet campione lo diventò solo anni dopo, nel 1949 vinse Fausto Coppi, e il Tour il monte Bianco non lo riuscì mai a scalare.