Vietare la ricerca sugli embrioni non viola i diritti umani

Redazione
La Corte europea di Strasburgo rigetta il ricorso di Adele Perrillo che voleva donare embrioni ottenuti da fecondazione in vitro: nessuna violazione dell'articolo 8, dicono i giudici

Impedire a una donna di donare gli embrioni ottenuti da fecondazione in vitro ai fini della ricerca scientifica non è contrario al rispetto della sua vita privata. Lo ha deciso la Grande Camera della Corte europea dei diritti dell'uomo, nella sua sentenza relativa al caso di Adele Parrillo, vedova di Stefano Rolla, rimasto ucciso nell'attentato di Nassiriya.

 

Nella sentenza sul caso Parrillo contro Italia (ricorso 46470/11), la Corte europea dei diritti dell'uomo "ha dichiarato, con 16 voti a 1, che non c'è stata nessuna violazione dell'articolo 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) della Convenzione europea dei diritti dell'uomo". Il caso riguardava il divieto contenuto nella legge 40/2004 sulla procreazione medicalmente assistita vigente in Italia, "che impediva alla signora Parrillo di donare embrioni ottenuti da fecondazione in vitro, che non erano stati impiegati per una gravidanza, alla ricerca scientifica".

 

"La Corte, che è stata chiamata per la prima volta a pronunciarsi su questo problema", si legge in una nota dei giudici di Strasburgo, aveva giudicato ricevibile l'ipotesi di violazione dell'articolo 8, dato che "gli embrioni in questione contenevano materiale genetico della signora Parrillo e di conseguenza rappresentano un elemento fondamentale della sua identità. La Corte ha ritenuto, in via preliminare, che in Italia doveva essere dato un notevole margine di manovra su questa delicata questione, come confermato dalla mancanza di un consenso europeo e testi internazionali in materia".

 

"La Corte ha poi ricordato che il processo di elaborazione della legge 40/2004 aveva dato luogo a notevoli discussioni e che il legislatore italiano aveva preso in considerazione l'interesse dello Stato nel proteggere l'embrione e l'interesse delle persone a esercitare il loro diritto all'autodeterminazione", anche se in questo caso "non era necessario esaminare la delicata e controversa questione di quando inizia la vita umana, dato che non era stato invocato l'articolo 2 (diritto alla vita)". Infine, notando che "non c'è alcuna prova che il compagno defunto della signora Parrillo avrebbe voluto donare gli embrioni alla ricerca medica, la Corte ha concluso che il divieto in questione è necessario in una società democratica". Come punto addizionale all'ammissibilità della richiesta, la Corte precisa di aver esaminato per la prima volta se la procedura per sollevare la questione di costituzionalità, introdotta in Italia nel 2007, rappresentasse un ricorso interno da tentare prima di rivolgersi a Strasburgo. Concludendo che, nel caso specifico, questa forma di 'tentativo domestico', cioè la scelta di rivolgersi alla Consulta prima che a Strasburgo, non dovesse essere obbligatoriamente eseguito.

 

[**Video_box_2**]Nel 2002 la coppia aveva fatto ricorso alla fecondazione in vitro, che aveva  dato origine a 5 embrioni, crioconservati presso una clinica privata romana. Nel 2003 la tragedia: il compagno di Adele, classe 1954, perde la vita nell'attentato in Iraq. Non volendo procedere con l'impianto degli embrioni, Adele ha richiesto di poterli donare ai fini della ricerca scientifica, per contribuire a trovare trattamenti per malattie difficili da curare. Ma la legge italiana proibisce esperimenti su embrioni umani anche a questo scopo, punendoli con la reclusione in carcere da 2 a 6 anni. Per tale motivo la donna si era rivolta nel 2011 alla Corte Edu.