Il ministro della Giustizia, Andrea Orlando (foto LaPresse)

Perché è il caso di scuotere più forte il sistema giudiziario

Alberto Brambilla
Il ministro Orlando vuole dei tribunali a misura di investitori, ma velocizzare i processi civili è solo l’inizio

Roma. Il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, ha tenuto una conferenza alla Law Society di Londra per dimostrare a legali di banche d’affari e fondi di investimento la volontà del governo italiano di migliorare un ingolfato sistema giudiziario con l’ottica di preservare gli investimenti esteri. “Sappiamo che chi entra in contatto con un sistema come quello italiano può essere spaventato e spinto a scappare”, ha detto al Financial Times in un’intervista che ha preceduto la visita al suo omologo inglese Michael Gove. “Ma possono stare tranquilli, ci sono tribunali che possono assicurare tempi più rapidi della media” grazie a una “corsia preferenziale” per le aziende internazionali. Il governo Renzi, come a inizio legislatura, torna a mostrare l’intento di aggredire i bizantinismi del sistema giudiziario che, assieme all’incertezza fiscale, da tempo rendono l’Italia un paese inospitale agli occhi degli investitori. Secondo la Banca mondiale è più difficile fare rispettare un contratto in Italia che in altri 100 paesi, tra cui Haiti. Nel 2013, il fatto di non vedere tutelata la protezione del suo know how ha trattenuto Alps South, società biomedica americana, dall’aprire uno stabilimento da 400 addetti in Italia; ha preferito l’Est Europa. Oggi Terravision, compagnia di autobus attiva in Italia da un decennio, sostiene serva più della “buona volontà”. Il malfunzionamento della giustizia civile costa in termini operativi un punto di pil all’anno, secondo Banca d’Italia, ma il costo è imponderabile in termini di occasioni d’investimento sfumate.

 

Mario Draghi, presidente della Banca centrale europea, aveva detto che una misura decisiva per creare crescita e lavoro è aggredire i problemi della giustizia. Una disputa civile richiede in media quasi otto anni per arrivare a una soluzione, circa il quadruplo rispetto alla media dei paesi Ocse e otto volte in più della Svizzera. La riduzione a tre anni dei tempi di risoluzione – obiettivo suggerito al Financial Times da Francesco Mannino, presidente della terza sezione civile del Tribunale di Roma – è un passo avanti rispetto ai bassi standard generali ma è comunque un tempo eccessivo rispetto alle performance dei tribunali per l’impresa più efficienti all’estero. Infatti per un’impresa moderna, le cui strategie d’investimento dipendono anche dalla risoluzione di una disputa, tre anni sono il doppio rispetto, ad esempio, all’ottimo raggiunto in Gran Bretagna e Germania dove una causa civile viene portata a termine in un anno e mezzo. Il presidente del Tribunale di Torino, Mario Barbuto, stimato magistrato, un decennio fa aveva più che dimezzato la lunghezza media delle cause civili, portandole appunto a tre anni, attraverso tecniche manageriali semplici adottate nel suo tribunale. Tuttavia anche gli studi di Barbuto, chiamato da Orlando a capo del Dipartimento dell’Organizzazione giudiziaria, evidenziano che ridurre i tempi medi di risoluzione è necessario ma non sufficiente per spingere un investitore a correre il rischio di dovere intraprendere una causa in Italia. Il governo Renzi oltre a volere velocizzare i processi s’è concentrato sulla decongestione dei tribunali scoraggiando le liti temerarie attraverso la prevenzione dei conflitti legali, favorendo soluzioni extragiudiziali mediante l’aumento della tassazione per l’apertura di un contenzioso e l’aumento delle spese legali a carico del soccombente. Tuttavia servirebbero altre soluzioni pratiche per recuperare prestigio agli occhi degli investitori esteri, dice al Foglio Gabriele Cuonzo, legale dello studio Trevisan & Cuonzo di Milano che cura gli interessi di multinazionali estere di farmaceutica, elettronica, automotive e di altri settori. “Il governo ha ottime intenzioni, l’approccio è positivo soprattutto se, come dice il ministro Orlando, si vuole aprire una corsia preferenziale per le aziende internazionali; i nostri clienti lo chiedono da tempo. Ma bisogna capire come farlo in concreto e per ora non vedo cambiamenti sostanziali per quel che riguarda la qualità dei processi”. Secondo Cuonzo la velocità è infatti solo una parte del problema. “Non vorrei essere operato da un chirurgo rapido, ma da un chirurgo molto attento al mio caso”, dice. C’è un macroproblema: “La procedura civile – dice Cuonzo – è percepita come poco trasparente, riflette un’Italia da mondo agricolo. C’è una produzione eccessiva di atti scritti, spesso superflui e ripetitivi, mentre nella tradizione anglosassone buona parte del procedimento è orale. Un punto molto rilevante è il modo in cui vengono raccolte le testimonianze orali. Nel processo italiano quel che dice il testimone viene riassunto dal giudice senza che vi sia un interrogatorio da parte dei difensori.  Ciò è difficile da comprendere all’estero”.

 

[**Video_box_2**]C’è poi un problema pratico: “L’infrastruttura del tribunale è in condizioni precarie. Le cause vengono discusse nelle piccole e affollate stanze dei giudici. Ci sono poche aule per i contenziosi riguardanti le imprese. E’ difficile proiettare slide o documenti multimediali in udienza. E’ il regno della carta e dell’informalità; e anche l’estetica ha un certo peso”, dice Cuonzo i cui clienti sono al 70 per cento società straniere. “Questo modello va cambiato investendo in maniera selettiva su due o tre tribunali d’impresa, dei progetti pilota, fissando quindi dei benchmark verificabili, un po’ quello che dovrebbe accadere nel mondo universitario. Non serve spargere pochi soldi su molti tribunali ma concentrarsi su pochi e selezionati tribunali dove si discutono le cause rilevanti. Basterebbero 100 milioni di euro per rafforzamento del personale, ristrutturazioni e acquisto materiali”. Dal punto di vista politico – nota Cuonzo – significa “superare le resistenze dei piccoli tribunali e far accettare una giustizia a due velocità secondo l’importanza dei casi, per cui le corporation vengono prima di un garage conteso. Ci vuole un’azione forte per superare un egalitarismo che conduce al livellamento nella mediocrità [della giustizia] per garantire un servizio degno di un paese del capitalismo avanzato”, dice Cuonzo.

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  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.