Uomi dei Ros, il Reparto operativo speciale dei Carabinieri

007 e stellette. Il gioco delle nomine

Mario Sechi
C’è un settore in cui il governo Renzi si sta muovendo silenziosamente e con astuzia. E’ quello dell’intelligence e dell’anticrimine. Chi sarà il nuovo capo dei Ros e la storia di un sistema che va riformato al più presto

C’è un pianeta visibile e c’è una galassia invisibile. C’è la fiamma e ci sono le stellette. C’è il mondo di sopra e quello di sotto. E per fortuna è tutta roba che non si twitta, sfugge alla breve esistenza del social, è materia di concretezza assoluta. Siamo nel campo della legge e dell’ordine, della sicurezza e dell’intelligence. Qui il governo Renzi si sta muovendo silenziosamente (e per ora bene). Carabinieri e servizi segreti sono il fulcro di questo mondo. Il 16 gennaio scorso il governo ha affidato il comando dell’Arma alle mani esperte di Tullio Del Sette. E’ il cinquantanovesimo comandante generale della storia dei carabinieri, viene da Bevagna, Accademia militare a Modena, tre lauree, tre encomi solenni, un elogio, è stato il primo carabiniere capo di gabinetto del ministero della Difesa, chiamato a quel ruolo dal ministro Roberta Pinotti. In precedenza è stato capo dell’ufficio legislativo di Antonio Martino, Arturo Parisi e Ignazio La Russa. E’ un profilo diverso da quello del precedente comandante, Leonardo Gallitelli, è più distaccato nel carattere, come deve essere un uomo chiamato a cambiare la Benemerita. Del Sette con grande rapidità sta costruendo la sua squadra di comando. Il 21 marzo Vincenzo Giuliani è diventato vicecomandante e ormai appare prossima un’altra nomina fondamentale: il comandante dei Ros. Il candidato favorito alla guida è il generale Giuseppe Governale, palermitano, da due anni comandante della legione Sicilia. Il Raggruppamento operativo speciale è figlio dell’evoluzione della struttura anticrimine dell’Arma e i suoi uomini sono il fulcro di qualsiasi indagine riguardante la criminalità organizzata e il terrorismo interno e internazionale. Qualche settimana fa veniva dato in corsa anche il generale Aloisio Mariggiò, comandante della legione Calabria, ma Governale – secondo i rumor di Palazzo – è l’asso nel mazzo di carte di Del Sette.

 

Il Ros è una struttura che ha sempre avuto grande autonomia e ha una storia legata alle grandi inchieste sulla mafia. Articolato in sei reparti, ha un’organizzazione periferica composta da reparti nelle principali città (Roma, Milano, Torino, Napoli, Reggio Calabria e Palermo), venti sezioni e due nuclei anticrimine. Il Ros ha una storia di gloria (la cattura di Totò Riina) e di contrasti con l’autorità giudiziaria (il caso del generale Mario Mori). Oltre al comandante, cambierà anche fisionomia? Di certo il generale Del Sette ha inaugurato una linea di discontinuità e punta a dare all’Arma un profilo ancor più operativo. Nel bilancio della Difesa i carabinieri sono sotto la voce “Sicurezza del territorio”, costano circa 5,6 miliardi di euro e rappresentano il 27,5 per cento (dato del 2013) dello stanziamento totale, pari a 19,7 miliardi di euro per il 2015. E’ una spesa in diminuzione che ha bisogno di essere riqualificata. Gli obiettivi? Maggior coordinamento, fine delle duplicazioni, ringiovanimento – problema comune a tutte le Forze armate – recupero di efficienza e risparmi molto forti.

 

L’Arma è il mondo visibile. E quello invisibile? Sono i servizi segreti, galassia di sigle, funzioni, missioni, operazioni. Il sistema italiano è un ibrido dove ai due servizi classici di spionaggio (Aisi) e controspionaggio (Aise) è stato aggiunto una sorta di zar dell’intelligence, il Dis che – come vedremo – proprio zar non è. Le funzioni di coordinamento politico sono affidate a quella che burocraticamente viene chiamata Autorità delegata. Chi è? Un sottosegretario o un ministro senza portafoglio che esercita funzioni di “uomo ovunque”. Al di sopra di questi organismi, c’è il Comitato interministeriale per la sicurezza della Repubblica, composto dal premier, i ministri della Difesa, degli Esteri, dell’Interno, della Giustizia, dello Sviluppo economico, dell’Economia, l’Autorità delegata, e il direttore del Dis che ha funzioni di segretario del comitato. E’ un’altra sigla (Cisr) che aumenta il gioco delle complicazioni. Nell’aprile del 2014 il governo Renzi ha messo a capo del controspionaggio il generale Alberto Manenti, uomo dell’esercito, dal 1980 al Sismi, già numero due dell’Aise, una soluzione di continuità.

 

Il vertice dell’Aisi è occupato dal giugno del 2012 dal generale dei carabinieri Arturo Esposito, e il suo mandato è in scadenza. Al vertice del Dis dal maggio del 2012 c’è l’ambasciatore Giampiero Massolo, esperienze a Mosca e a Bruxelles, consigliere diplomatico del governo Ciampi, segretario generale della Farnesina, sherpa per il G8, un diplomatico di lungo corso. Anche il suo mandato è in scadenza, ma a differenza di quello dei vertici di Aise e Aisi, l’incarico di Massolo può essere rinnovato, una sola volta.

 

C’è ancora tempo per le nomine, ma il governo Renzi ha cominciato a muovere le pedine. Il 19 maggio scorso la prima mossa: Palazzo Chigi nomina tre nuovi vicedirettori e “libera” la casella del comando del Ros. Alla vicedirezione dell’Aisi vanno il generale della Guardia di Finanza Vincenzo Delle Femmine e il generale dei carabinieri Mario Parente (comandante del Ros), mentre alla vicedirezione dell’Aise si sposta il generale della Guardia di Finanza Paolo Poletti che aveva il ruolo di vicedirettore dell’Aisi. Renzi di fatto libera la poltrona del Ros (dove Del Sette dovrebbe proporre il nome di Governale) e prepara il terreno per la successione a Esposito (Aisi) e Massolo (Dis). Quest’ultimo ha un ruolo schiacciato dalla barocca organizzazione di Palazzo Chigi, è tra l’incudine della naturale autonomia esercitata dai capi dei servizi e il martello del ruolo politico dell’Autorità delegata che oggi ha il nome, il cognome e l’intraprendenza del sottosegretario Marco Minniti, calabrese coriaceo, cultore (e tutore) della delicata materia chiamata intelligence. Lo zar, insomma, non coordina nulla. O poco.

 

[**Video_box_2**]E’ l’architettura, l’organizzazione dei Servizi che non è snella e funzionale, il problema viene fuori con un semplice colpo d’occhio all’organigramma. Minniti è il vero dominus, si muove con i poteri di fatto di un consigliere per la Sicurezza nazionale degli Stati Uniti, solo che questa figura nell’ordinamento italiano non esiste e così Minniti finisce per entrare (a gamba tesa o meno) sui dossier che riguardano i ministri della Difesa, dell’Interno, degli Esteri e della Giustizia. Vedere alla voce Marò, per esempio. Il Dis a sua volta ne esce fuori depotenziato e la sua autorità di conseguenza non riconosciuta, i direttori dei servizi mettono il pilota automatico, il presidente del Consiglio finisce per avere informazioni discontinue, parziali e qualche volta illusorie. Siamo ben lontani, come si vede, dal collegamento diretto che ha la Casa Bianca con la Cia – che realizza un brief quotidiano per il presidente – mentre il ruolo del Copasir (il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica) è lontano anni luce dal controllo che esercitano i Select Committee on Intelligence della Camera e del Senato degli Stati Uniti. E’ un tema aperto da molte legislature, il Parlamento ha una cronica mancanza di strumenti, preparazione e cultura della sicurezza. Fare le nomine dunque a Renzi non basterà. Il presidente del Consiglio avrà prima o poi davanti a sé il tema del ruolo, della forza e del controllo dei nostri servizi. In uno scenario che sta cambiando velocemente, con l’avanzare di nuove minacce, di fronte a riforme importanti dei servizi segreti e dei loro poteri già fatte in altri paesi, si porrà la questione di aggiornare la riforma che volle Prodi nel 2007. Quella riforma attese trent’anni. E per vederne una terza non si può attendere altrettanto. Sono passati otto anni, ma viviamo in un altro mondo. Visibile e invisibile.