Pippo Civati (foto LaPresse)

La Cosa di Civati. Tutti la vogliono, nessuno se la piglia (e Ghisleri consiglia lista unica)

Marianna Rizzini
Roma. Uscire, sì, ma poi? Perché è vero che Pippo Civati, dopo amletico dubbio, ha infine lasciato il Pd, ma tortuoso è il percorso verso la “Cosa” da costruire fuori – fuori dal Partito democratico, ma dentro a nessun altro contenitore, e soprattutto “insieme” a molti.

Roma. Uscire, sì, ma poi? Perché è vero che Pippo Civati, dopo amletico dubbio, ha infine lasciato il Pd, ma tortuoso è il percorso verso la “Cosa” da costruire fuori – fuori dal Partito democratico, ma dentro a nessun altro contenitore, e soprattutto “insieme” a molti. Tanto per cominciare, però, pare non ci sia la fila, davanti all’ascensore che potrebbe portare alla direzione della “Cosa”: Pippo Civati stesso, a “Otto e mezzo”, ha detto che lui se n’è andato e qualcosa succederà forse in estate, sì, ma a fare il leader lui non ci pensa, ora – il leader poi si troverà, è già un sollievo sentirsi “in pace con se stessi”. Quanto a Nichi Vendola, figurarsi: è già lì che vuole sciogliere Sel (dopo aver detto, pochi mesi fa, che non scioglieva nulla). E’ lì che mette a disposizione gruppi, il poeta-politico, ma fare il leader no, per carità: Nichi ha rilasciato interviste cuore in mano in cui dichiara di voler “tornare a fare il militante di base” per “recuperare l’allegria” perduta. Se poi Vendola, come giovedì su Repubblica, tira la volata a un altro – il sindaco di Milano Giuliano Pisapia, per esempio, recentemente rivalutato presso l’opinione pubblica grazie alla reazione ramazza in spalla alle devastazioni “NoExpo” – allora va anche peggio. Pisapia, infatti, aveva detto di non volersi neanche ricandidare a sindaco, e l’autunno scorso, alla festa dell’Unità di Bologna, aveva negato fortissimamente di voler fare il leader di qualsivoglia formazione di là da venire (del doman non v’è certezza, ma al momento non pare interessato).

 

Sempre Civati, poi, ha parlato del “no” a un impegno leaderistico in prima persona di Maurizio Landini, vertice Fiom e promotore della Coalizione sociale che tanto ha fatto aggrottare la fronte al segretario Cgil Susanna Camusso (già così è durissima: dove si va, a sinistra-sinistra, senza il principale sindacato?). Insomma: tutti la vogliono, la “Cosa rossa”, a parole (nei convegni targati MicroMega, magari, quelli in cui Civati era accolto come l’angelo custode), ma nessuno se la piglia, oggi come oggi. E non solo a livello di leadership: non ha raggiunto Civati, per ora, il pur sofferente (nel Pd) Stefano Fassina. Non l’ha seguito il candidato a sindaco di Venezia e senatore civatiano Felice Casson (con le elezioni a due passi e tutto il Pd dietro, come si fa?). Sono fermi dove stavano i ribelli anti-Italicum, da Corradino Mineo ad Alfredo D’Attorre a Roberto Speranza (per la cronaca, neanche Speranza vuole mettersi a capo di una “Cosa rossa”, ché vuol combattere dall’interno). E insomma la scelta di Civati, dice Alessandra Ghisleri, sondaggista e direttrice di Euromedia Reaserch, in video il martedì sera a “Ballarò”, “è stata coraggiosa, perché il momento è delicato e l’Italicum premia le grandi forze”. Ma con chi farla, questa benedetta “Cosa”? Con i reduci di Rifondazione? Con i Comunisti italiani? Con gli ex ingroiani? Con gli adepti del prof. “Rodotà-tà-tà?” Con i grillini fuoriusciti (loro almeno ci stanno, pare, mentre Beppe Grillo dà a tutti di “mezze calze”)?

 

[**Video_box_2**]Con Romano Prodi mah, troppa grazia. Con Enrico Letta no, troppa lontananza. Meglio guardare al futuro non prossimo, Italicun alla mano. Dice Ghisleri che anche se la soglia di ingresso in Parlamento è bassa (3 per cento), “è difficile che un partito creato dal nulla” possa raggiungerla in tempi medi, e che “l’iniziativa di Civati potrebbe avere un senso solo se si riuscisse a unificare Sel, Rifondazione, i Comunisti, magari i Verdi”. Se si votasse con l’Italicum, dice Ghisleri, “stando alle attuali percentuali, il Pd risulterebbe primo e il M5s secondo, e nessuno dei due otterrebbe il premio di maggioranza. La legge premia la lista, non il partito o la coalizione, ed è dunque all’aggregazione o riaggregazione che a sinistra come a destra si deve guardare, per sperare di ottenere percentuali di un certo peso di fronte ai big”. I possibili leader della sinistra anti-reanziana sono stati sondati, dice Ghisleri. Landini? “Occupa un’area di nicchia”. Civati? “Riscuote simpatia, per via della coerenza e perché a livello di comunicazione è efficace e noto, anche perché va in tv. Piace anche il suo candidato in Liguria Luca Pastorino. Però se si vuole mirare a una sinistra di governo, come dice Civati, è alla lista ampia che bisogna puntare”.

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.