Lo stilista Giorgio Armani (foto LaPresse)

La disfida di gayezza

Stefano Di Michele
Cari gay, datevi una regolata – sul versante guardaroba, se non altro. Giorgio Armani (non c’è giacca destrutturata, si rammenti, che sfiguri su pettorali scolpiti, come mutanda bianca che il muscoloso stacco di coscia non valorizzi) ha dato fuoco alle polveri – e non c’è miccia che prenda fuoco più facilmente di quella gay.

Cari gay, datevi una regolata – sul versante guardaroba, se non altro. Giorgio Armani (non c’è giacca destrutturata, si rammenti, che sfiguri su pettorali scolpiti, come mutanda bianca che il muscoloso stacco di coscia non valorizzi) ha dato fuoco alle polveri – e non c’è miccia che prenda fuoco più facilmente di quella gay, tra giustificata permalosità e un certo eccesso di politicamente corretto. “Un omosessuale è uomo al 100 per cento, non ha bisogno di vestirsi da omosessuale”, ha detto. “Quando l’omosessualità viene esibita all’estremo, come per dire: ‘Ah, sai, io sono omosessuale’, questo è qualcosa che non ha niente a che vedere con me, perché un uomo deve essere un uomo”.

 

Si è sfiorato il solito allarme omofobia – col risaputo rischio che, se tutto è omofobia, infine nulla è omofobia (e il vero stronzo omofobico comodamente si mischia e si confonde con la battuta di spirito). Comunque, con la sua indiscussa autorità Armani – che pure in certe fascinose foto appare circondato da muscolosi modelli: chi con scialletto viola, chi con giaccone fucsia – ha mollato autorevolissima pedata al mito del marinaretto cinquantenne che sculetta tonico in braghe bianche, come del depilato scultoreo simile a certe lucidissime porcellane di Cina. Almeno, questo nell’immaginario: ché la rete ribolle; poi la realtà, giurano i diretti interessati, è altra. Il leopardato, casomai, per la discoteca – ché adesso il gay si fa più macho di Braveheart (gonnellino scozzese a parte) e ammutinati del Bounty messi insieme: è l’èra del “lumbersexual”, gay simil-boscaiolo in camicia di flanella a quadri, scarponi da sbarco e barba da profeta biblico, parente stretto dei mandriani di “Brokeback Mountain” che anni fa non pochi arrapamenti, con doveroso apprezzamento per l’arte della pastorizia, provocarono. Autorità indiscussa è pure Franco Grillini, leader storico dell’Arcigay – di suo ha sempre conservato look evocativo di quello del rag. Filini di fantozziana memoria, con pubblico lamento per certe mutande ascellari di cui si dotava e di cui si è purtroppo smarrita traccia persino nelle più remote mercerie di paese. “Dai trenta in poi, vestiamo sobri”, giura. E spiega: “Gli stilisti sono proprio quelli che hanno riscoperto il corpo maschile, che lo hanno valorizzato: prima si faceva solo con quello femminile. Grandissima rivoluzione, rendere desiderabile il corpo del maschio!”. Magari si è andati troppo oltre? “Lo sai che il fatturato per la cosmesi maschile ha superato quello femminile? Ed è stato Armani a fare la rivoluzione, mica io. Adesso non può dirci: torniamo indietro”. Lo stesso, giù il cappello: “Sempre stima e ammirazione per Armani”. E le accuse di omofobia? Sbuffo: “Dài, non è che appena uno apre bocca ci deve essere la Santa Inquisizione…”. Però, le comode mutande di una volta sono sparite. Sospiro. Dettaglio: “Avevano la lavorazione a cannetta, non lisce…”. Mica da calciatore desnudo su poster pubblicitario stradale, perfette però per il boscaiolo con ascia in vista…

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