Orfani di Chávez, anche i No global vogliono fermare il califfo

Redazione
Il World social forum nel loro piccolo si incazza con i jihadisti, e la differenza con la linea tenuta dopo l’attacco alle Torri gemelle del 2001, quando in pratica si disse “né con Bush, né con Bin Laden”, è enorme

Roma. Ricordate Porto Alegre? Fu dal 25 al 30 gennaio del 2001 che nella città brasiliana allora fiore all’occhiello del modello amministrativo del Partito dei lavoratori (Pt) di Lula si tenne il primo World social forum (Wsf) e fu lanciata la parola d’ordine “un altro mondo è possibile”. Poi lo stesso Lula divenne presidente, si scelse un vicepresidente liberale, si alleò a partiti di centro e di destra di tutti i tipi, iniziò a frequentare quel Forum economico mondiale di Davos contro cui Porto Alegre era stato pensato. Il Wsf ha continuato a essere organizzato, nel frattempo si è avvicinato ai petrodollari di Hugo Chávez e al suo Socialismo del XXI secolo, e negli ultimi anni i giornali hanno smesso di occuparsene. Ma l’ultima edizione del Wsf (come quella del 2013) a Tunisi, con una marcia contro il terrorismo diretta al museo del Bardo, e ha in agenda la redazione di una Carta internazionale altermondialista del Bardo di lotta contro il terrorismo. Il fatto è che da qualche anno i No global del forum, più che di socialismo sono impegnati a parlare di islamismo e di primavere arabe. Lo scontro principale è stato nel 2012: le rivoluzioni arabe sono una speranza libertaria, come giuravano i “compagni” europei e medio-orientali? O una provocazione della Cia, come suggerivano le diplomazie “bolivariane”? Proprio il fatto che già l’edizione del 2013 sia finita a Tunisi dimostra come l’impostazione chavista sia stata sconfitta: anche perché nel frattempo Chávez è morto, e il suo erede Maduro non dispone più di petrodollari da distribuire a destra e a manca.

 

Così, orfani del chavismo, si scopre che anche i No global del World social forum nel loro piccolo si incazzano con i jihadisti, e la differenza con la linea tenuta dopo l’attacco alle Torri gemelle del 2001, quando in pratica si disse “né con Bush, né con Bin Laden”, è enorme. Anche perché il movimento è stato colpito in prima persona. Nella strage di Charlie Hebdo è stato ucciso l’economista Bernard Maris, animatore storico del Wsf, e poi in prima fila contro lo Stato islamico si sono trovati i peshmerga del Pkk di Ocalan: antiche icone del terzomondismo marxista che oggi combattono con l’appoggio dell’aviazione americana. Insomma, anche i No global iniziano a percepire che se l’altro mondo possibile è quello del Califfato, allora tanto vale tenersi questo.

 

Ovviamente non verrà detto proprio in questi termini. Ma abbastanza significativo è già che una giornalista come Giuliana Sgrena scriva sul manifesto che l’attentato del Bardo è stato un “attacco contro la rivoluzione alla vigilia del Social forum”. “Il terrorismo globalizzato non conosce frontiere e colpendo la Tunisia mira a far fallire l’unica rivoluzione che finora ha avuto un esito positivo con l’avvio di un processo di democratizzazione che peraltro non ha escluso gli islamisti”. Durissima l’analisi sul partito islamista tunisino “moderato”: “Finché Ennahda era al potere, proteggeva le azioni dei salafiti che sono arrivati anche ad attaccare l’ambasciata americana”. E ancor più sorprendente il finale: “Ma forse come nel VII secolo era stata Kahina, la regina berbera, a fermare i califfi, ora saranno le donne, già protagoniste della rivoluzione, a bloccare i seguaci di al Baghdadi”. Ebrea oltre che berbera, Kahina non aveva combattuto contro l’islam estremista. Aveva combattuto contro l’islam tout court.          

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