Lo scrittore Aldo Busi (foto LaPresse)

Va' che amiche

Annalena Benini
Aldo Busi ha imparato da sua madre quasi tutte le fatiche dell’onore di sopravvivere, tutte le pratiche quotidiane come zappare, lavare stirare, fare la legna accendere la stufa e il camino, stoppare un buco col gesso, tenere in mano una falce una roncola un badile una vanga.

Aldo Busi ha imparato da sua madre quasi tutte le fatiche dell’onore di sopravvivere, tutte le pratiche quotidiane come zappare, lavare stirare, fare la legna accendere la stufa e il camino, stoppare un buco col gesso, tenere in mano una falce una roncola un badile una vanga, non fare promesse altrimenti mantenerle, non fare mai entrare in casa un estraneo ma dargli da mangiare oltre lo steccato e da dormire nel fienile sempre. Anche: “Quando ce n’è non fai finta che non ce ne sia, non c’è sempre e solo carestia, e quando non ce n’è stringi la cinghia
e, per l’appunto, non chiedere
non chiedere
non chiedere niente, lavoro a parte”. Ha imparato dalla madre quasi tutto, e da sé ad amare pazzamente l’umanità, a cercare di conoscerla, irriderla, comprenderla, spogliarla di tutte le bugie spogliando prima se stesso, come fa in questo libro sfrenato e sincero, superbo e disperato, “Vacche amiche, un’autobiografia non autorizzata” (pubblicato da Marsilio, 173 pagine, 15 euro) che è insieme un’invettiva e una dichiarazione d’amore, mille schiaffi ai bestseller italiani e non, a tutte le chiese, a tutti quelli che arrivati alla soglia del mezzo secolo non hanno mai letto Aldo Busi, a quelli che non lasciano la mancia al ristorante o lasciano i centesimi, alle “bulimiche e anoressiche e vegane e vegetariane e confuciane e buddiste e induiste tutte vampire accentratrici scassapalle uguali”, a quelli che adorano a pari merito carlini e gay, agli amici che amici sono più. Gli schiaffi diventano letteratura perché il vero scrittore che è Aldo Busi sa come muoverli senza fermarsi mai a riprendere fiato, e diventano carezze perché svelano la sofferenza, e lo struggimento, o forse solo lo stupore per il telefono muto e la solitudine (“non credo che una cosa così accada nemmeno a uno in coma irreversibile, ma qui si sta parlando pur sempre di uno scrittore dai mille incontri casuali, di giorno, di notte, di penna, di tivù, e l’uomo più pubblico, più disponibile e mutande in mano alla mercé dei trasporti di seconda classe dell’intera Repubblica”). Lo stupore per l’amicizia che è passata, volata via dentro gli anni, e per il dolore che ha causato la sua fine (“non ho mai sofferto tanto come per un’amicizia che è venuta a mancare”): Busi sceglie le donne per raccontare se stesso, e sceglie la fine di tre amicizie con tre donne. “Vacche amiche” è forse “va’ che amiche… Troieee”, il commento che Busi immagina potrebbe fare sua madre, un po’ indignata un po’ invidiosa per quelle signore che sono riuscite a sottomettere un uomo fuori dal letto. Lui, che non ricorda niente degli uomini che ha amato, sa tutto delle donne alle quali ha voluto bene dentro un rapporto assoluto, a cui non manca niente “a parte il trascurabile bidet a fine cavalcata”. C’è così poco di carnale in un amore carnale, scrive, così come c’è poco di platonico in un amore platonico, e allora ecco il tradimento, la quarantena, la civetteria, le bugie, i giudizi che tagliano il cuore in due, gli addii, il silenzio, la morte perfino. Non c’è cinismo, dentro questo romanzo di sé in cui l’arrabbiatura non ha il sopravvento anche se lo sdegno passa su ogni pagina e non ha pietà di nessuno, certo non di Aldo Busi. “Poi, un bel giorno che mi sentivo particolarmente affascinante e attraente per la mia bella testa e dialettica e spirito arguto e loquela tanto da dimenticarmi che erano passati tanti anni, passo davanti a uno specchio e di colpo ho perso la faccia: vecchio, cascante, grasso, fisicamente un cesso”. Chi la fa l’aspetti, ha detto ad alta voce Busi a Busi, e il non autorizzare l’autobiografia significa anche esortare tutti all’“autosputtanamento di massa”.

 

[**Video_box_2**]Un maschio peloso e non più giovane di lui, uno che intanto dice “Ma cosa fai, ma che ti credi, ma no dài, e se lo viene a sapere lei…”: ecco il mondo maschile che eccita Aldo Busi, ecco l’autosputtanamento orgoglioso (“tutto ciò che è glabro mi fa o tenerezza al guardarlo o senso al solo pensiero che qualcuno possa toccarlo”), ma c’è anche la confessione sul sesso compiuto, computato e rimpianto che non si vuole rivelare qui. E poiché la solitudine dello scrittore è messa di fronte a un’altra solitudine, la solitudine di sé, dentro questo romanzo c’è molto amore e molto rammarico per le persone a cui non si è fatto in tempo a dire grazie, per le cose della vita imparate troppo tardi. E un saluto dolce alle vacche con la coda, amiche come tante altre, che prima di mungerle le si accarezzava sulla schiena con una bella manata e loro erano contente.

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  • Annalena Benini
  • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.