Giudici della Cassazione (foto LaPresse)

Vogliamo ancora più poteri. La nuova guerra santa dei pm

Massimo Bordin
Il circo mediatico giudiziario vuole cogliere l’occasione dell’emergenza del terrorismo islamico per estendere i propri poteri sull’intelligence. La pressione delle procure, il potere di supplenza e quel testo del Csm.

Un titolo garantista a tutto tondo, come apertura della prima pagina del Fatto, è a suo modo un evento. “Ci frugano nelle email con la scusa dell’Isis”. Nel sommario però un occhio esperto e malizioso intravede subito qual è il vero problema e il vero punto della questione. Nella denuncia del rischio che intelligence e polizia possano introdursi in telefonini, tablet e computer l’accento – segnatevi questa parola – è sul “controllo”. Non si chiede una struttura di tutela dagli abusi ma una diversa catena di comando. “La procura nazionale è disarmata” dicono il procuratore nazionale antimafia e quello romano, e il giornale diretto da Travaglio rilancia nel sommario il loro grido di dolore. In fondo è la solita storia. Mentre le procure resistono sul fronte della pubblicizzazione delle intercettazioni, ma sanno che qualcosa dovranno concedere, aprono un nuovo fronte su un tema ancora più importante, quello relativo al rapporto fra procure e polizia giudiziaria. “Vi chiediamo di condannare una struttura di polizia giudiziaria che si è comportata come un servizio segreto” fu l’incipit della requisitoria del pm Nino Di Matteo in un processo contro il capo del Ros, il generale Mori (che peraltro fu assolto). Il senso di quelle parole era “non possono investigare di testa loro, devono obbedirci”. Alla tensione connaturata, in ogni latitudine, ai differenti ruoli nell’indagine-per capirci, quella che nei libri di Simenon si avverte fra Maigret e il giudice istruttore- in Italia dagli anni 80, si aggiunge qualcosa che connota un tipo di magistrato dell’accusa che si sente investito, in nome di una logica emergenziale, di un potere di supplenza che dilaga in ogni direzione, dall’alto al basso. C’è la pretesa di fare le leggi al posto dei politici e di condurre le indagini al posto degli investigatori.

 

La riforma degli anni 70, superando la prassi borbonica dell’interrogatorio di polizia e imponendo la presenza del magistrato a presidio dell’intangibilità dei diritti dell’imputato fin dall’inizio degli atti processualmente rilevanti, era apparsa come un necessario progresso che portava come corollario una più stretta dipendenza della polizia giudiziaria dalle procure. Oggi non si può non notare come un forte stato di tensione caratterizzi i rapporti fra alcune procure e alcune strutture investigative di eccellenza, non solo il Ros, mentre metodi che si pensavano superati ricompaiono nelle strutture territoriali di polizia senza trovare particolare sanzione da parte della magistratura, basti pensare a un caso come quello di Stefano Cucchi. La posta in gioco dunque nella legge anti-terrorismo non è la riservatezza delle nostre e-mail ma il ruolo di comando nella loro effrazione. Non il controllo di legalità, si badi, perché è scontato che esso tocchi al magistrato, ma il potere di iniziativa, soprattutto in materia di norme che i giuristi definiscono “a tutela anticipata”. In parole povere si tratta di sanzioni preventive, dove ci si muove in quella delicatissima e infida terra di nessuno che ancora non ospita la commissione di un reato ma l’impalpabile disposizione a compierlo. Da questo profilo è logico attendersi una critica improntata alla cultura del garantismo mentre è singolare trovarla in chi ha manifestato con la parola d’ordine “intercettateci tutti”. Infatti le critiche che vogliono mostrare il salto di qualità dalle intercettazioni telefoniche e ambientali a quelle telematiche appaiono deboli. Ieri il Fatto mobilitava in proposito un deputato di Scelta Civica che sosteneva come l’intromissione nella casella della  posta elettronica sia ben più che qualche intercettazione telefonica. E’ vero, ma non è però cosa molto diversa da una perquisizione con il sequestro di un archivio. Così come a quell’ex ufficiale della Guardia di Finanza che, sempre sul Fatto, faceva notare quanto possa essere contestabile, in linea di principio, la provenienza di un documento da un determinato computer si potrebbe rispondere che, sempre in linea di principio, si può contestare anche il rinvenimento di qualcosa in una perquisizione, allo stesso modo negando la correttezza degli investigatori. No, non sono questi gli argomenti veri.

 

Approfittare della legge anti-terrorismo

 

[**Video_box_2**]La scelta di Renzi di accantonare la norma che riguarda computer e tablet, per inserirla nel provvedimento sulle intercettazioni, sposta un problema ma non quello principale, che, a proposito del testo delle leggi, è da sempre contenuto nella risposta che Humpty Dumpty dà ad Alice sul significato delle parole : “Bisogna vedere chi è che comanda”. La magistratura, col suo organo di autogoverno, si era preparata per tempo. Per la precisione dal mese scorso, quando il Csm, l’11 febbraio, aveva adottato una delibera che formulava il proposito, poi attuato nelle settimane successive, di avviare una serie di audizioni proprio in tema di misure di prevenzione anti terrorismo e di coordinamento di esse attraverso un “soggetto destinatario delle richieste di autorizzazione alla effettuazione di intercettazioni preventive e di colloqui investigativi in materia di terrorismo”. E’ evidente che almeno una parte della magistratura vuole cogliere l’occasione dell’emergenza del terrorismo islamico per rafforzare il proprio controllo e indirizzo sulle attività investigative, in questo caso estendendo i propri poteri anche nei confronti dell’intelligence. Si può pensare che spostare la questione della prevenzione all’interno del provvedimento sulle intercettazioni, cambiando così il campo di gioco, possa modificare l’esito della partita. Ma forse è presto per capire a favore di chi. Quello che è sicuro è che si tratta uno scontro, non tanto sotterraneo, che si può datare dall’epoca della costituzione dell’Alto Commissariato antimafia, poi della super procura voluta da Falcone ma non dal Csm, infine dello scontro fra procura di Palermo e Ros.

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