Il mistero del volare e la ragione dell'ossessione morbosa per gli incidenti aerei

Giulia Pompili
E’ una morbosa ossessione attira-clic, quella sugli incidenti aerei. Permette titoli urlati, a effetto, senza nessun bisogno di smentita. Dove c’è mistero, c’è il libera-tutti del giornalismo, e dell’uomo comune.. Breve psicoanalisi della sindrome del passeggero.

Roma. E’ una morbosa ossessione attira-clic, quella sugli incidenti aerei. Permette titoli urlati, a effetto, senza nessun bisogno di smentita. Dove c’è mistero, c’è il libera-tutti del giornalismo, e dell’uomo comune. Sentirsi potenziale parte in causa significa arrogarsi il diritto di dire la propria – magari senza alcuna preparazione su decolli, atterraggi e ingegneria aeronautica. Con la democratizzazione del volo aereo, l’avvento delle compagnie low cost, il passeggero si è trasformato in consumatore e di tanto in tanto perde di vista l’unica legge che fa muovere l’uomo nei cieli: il mistero del volo. E’ per questo che la navigazione non ha lo stesso effetto, l’incidente nautico è una tragedia ma tira in ballo la legge del mare, codici non scritti e connaturati. Il volo è un mistero. E l’incidente la sua rivelazione. E lo abbiamo già provato, tutto questo, con la sparizione dell’aereo della Malaysian Airlines 370 esattamente un anno fa. Con l’incidente aereo “scatta un meccanismo di immedesimazione” – spiega al Foglio il team di psicologi dell’Istituto di Medicina aerospaziale dell’Aeronautica militare.

 

“Di fatto, la gente si sente emotivamente coinvolta perché si immedesima non solo nelle vittime, ma anche e soprattutto nei loro famigliari”. Si chiama “processo di proiezione”, quello per cui tutti, martedì mattina, hanno detto: potevo esserci anch’io, su quel volo. Poteva esserci qualcuno che conosco. All’Istituto di Medicina studiano il meccanismo mentale: “L’incidente aereo, rispetto a quello automobilistico, ha un impatto emotivo immensamente maggiore. Il fatto di non avere il controllo, di non essere alla guida del velivolo aumenta il senso di sgomento. E’ un po’ come quando, in macchina, siamo passeggeri e non alla guida: abbiamo più paura di possibili incidenti rispetto a quando siamo noi a guidare il mezzo”. Una specie di “sindrome del passeggero”. E l’elaborazione del lutto e della catastrofe si fa così, dandosi delle spiegazioni, seppur fantasiose e irrazionali: “E’ un meccanismo di autoprotezione: vogliamo incanalare, contenere la sofferenza e la paura all’interno di una sua logica. Al tempo stesso, condividere questa opinione con gli altri ci aiuta a stemperare, a diluire paura e dolore. Abbiamo l’esigenza di comunicare e confrontarci”. La razionalità, appunto. Gli incidenti aerei sono sempre di meno, grazie ai controlli, al progresso tecnologico e a una manutenzione più attenta. “Ogni incidente viene analizzato nei minimi dettagli proprio allo scopo di evitarne il ripetersi.

 

L’Aeronautica militare per esempio, tramite l’Ispettorato della sicurezza del volo”, ma anche con gli Istituti di Medicina aerospaziale di Roma e Milano, “effettua un’azione continua e capillare di controllo, analisi e previsione per prevenire incidenti di questo tipo”. Ma la tecnica e la scienza non sono tutto, e il mistero del volo resta. “Possiamo esserci abituati all’idea di volare su aerei ultratecnologici ormai con la stessa facilità con cui si prende il treno o l’autobus, eppure il cielo e la possibilità di solcarlo sono qualcosa di ineffabile. Nessuno di noi è mai totalmente neutro nei confronti del volo”.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.