La scatola nera del nostro terrore è nell'abisso dell'uomo, e resta muta

Sergio Soave
L’ipotesi che oramai si sta corroborando con indizi convergenti fa pensare che il disastro dell’aereo della Lufthansa sia stato determinato volontariamente da un pilota. E’ la più terrorizzante delle possibilità, peggiore persino di un attentato, perché non prevede alcuna possibilità di difesa.

L’ipotesi che oramai si sta corroborando con indizi convergenti fa pensare che il disastro dell’aereo della Lufthansa sia stato determinato volontariamente da un pilota. E’ la più terrorizzante delle possibilità, peggiore persino di un attentato, perché non prevede alcuna possibilità di difesa. Non c’è intelligence o apparato tecnico per quanto sofisticato che possa controllare la volontà e la coscienza della persona. La più grande forza della civiltà e del progresso, il libero arbitrio, quando si volge al male diventa la più potente e incontenibile forza distruttiva. Probabilmente non sapremo mai quali siano state le motivazioni o le patologie psichiche che hanno indotto il pilota a quel gesto suicida e omicida. Le profondità della psiche umana sono più insondabili di qualsiasi oggetto materiale e la potenza della tecnologia non può controllare, ma caso mai permette di amplificare gli effetti di una volontà malata o malvagia. Questo fatto, il capovolgimento del benefico e vitale principio di libertà nel male e nella morte ci pone interrogativi angoscianti, gli stessi cui nei secoli andati si rispose con il terrore del demonio.

 

Il principio religioso del bene comune, quello laico dell’utilità vengono contraddetti dalla volontà di morte incontrollabile, neppure innervata di qualche ideologia terroristica, e ci lasciano senza risposte, senza spiegazioni razionali e quindi davvero in preda al terrore. La nostra convinzione profonda che l’educazione alla civiltà sia in grado di penetrare in ogni persona può avere una radice di ottimismo illuministico o di provvidenzialismo, ma è quella che ci permette di nutrire fiducia negli altri, di creare la condizione basilare della convivenza in una società complessa in cui la prevedibilità del comportamento razionale è il principale elemento di sicurezza.

 

Possiamo cercare di conoscere i nemici di questa convivenza, ma non possiamo fare nulla quando il male si annida al suo interno, cioè in noi stessi.

 

Un ragazzo di 28 anni, considerato in piena salute mentale, con un lavoro qualificato e ben retribuito, è un modello statistico di normalità, è insomma uno di noi. Se non possiamo sentirci al sicuro nemmeno da quello che più ci somiglia, da quello che siamo abituati a conoscere e a incontrare senza timore in ogni ora del giorno, rischiamo di dover avere paura di tutto e di tutti.

 

Naturalmente ci spiegheranno che questo timore è statisticamente irrazionale, che un caso del genere ha una probabilità infinitesima di verificarsi e ancora meno di ripetersi. Ma è accaduto, vuol dire che può accadere, vuol dire che le ragioni del bene sociale o religioso o etico non possono essere date per scontate neppure in una società ordinata e civile, anche con una lunga esperienza democratica e senza gli allucinanti fantasmi delle ideologie di morte che ne hanno caratterizzato il passato. Il disastro di Lufthansa, la sua assurda normalità, ci porta a guardare il male che è in noi, dal quale non possiamo proteggerci come cerchiamo di fare con quello che viene dall’esterno e proprio questo ci riempie di sgomento.

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