Dolce e Gabbana in una foto d'archivio (LaPresse)

Dolce&Gabbana, Elton John e l'arcobaleno monocolore del pensiero gay

Manuel Peruzzo
Abbiamo letto titoli come “L’unica famiglia è quella tradizionale”, e ci siamo messi a ringhiare contro quei due omosessuali di destra che osano non conformarsi alla posizione progressista gay friendly. Come si permettono di non pensarla come noi? Fatichiamo a distinguere Stefano da Domenico, figuriamoci accettare che esistano posizioni differenti persino tra omosessuali.

Courtney Love ha raggruppato i suoi Dolce & Gabbana e minacciato un incendio. Si unisce alla protesta degli attivisti da poltrona muniti di hashtag #BoycottDolceGabbana che schiera da una parte la gente per bene, dall’altra i due mostri, Stefano Gabbana e Domenico Dolce. E’ successo dopo l’intervista a Panorama (che nessuno ha letto per intero, ma non cavilliamo) in cui, alla domanda se volessero diventare padri, Stefano ha risposto semplicemente di sì, mentre Domenico ha articolato una posizione più “conservatrice”, diremmo. Questa: “Sono gay, non posso avere un figlio. Credo che non si possa avere tutto dalla vita, se non c'è vuol dire che non ci deve essere. E’ anche bello privarsi di qualcosa. La vita ha un suo percorso naturale, ci sono cose che non vanno modificate. E una di queste è la famiglia”.

 

Domenico si è spinto oltre, dichiarandosi un oppositore dei figli in provetta. Il riferimento è al parto surrogato, ovvero chiedere a una donna consenziente l’affitto del proprio utero per poter avere un figlio, lo fanno indistintamente coppie etero e omosessuali in tutti i paesi in cui è legale. Lo hanno fatto, tra gli altri, Elton John e Ricky Martin, i quali si sono autoproclamati guardiani gay, sostenendo il boicottaggio. Elton ha scritto: “Come osate riferirvi ai miei bellissimi figli con ‘sintetici’”, e “il vostro giudizio bigotto è arcaico e anacronistico, proprio come i vestiti che fate”. Ricky Martin, meno brillante, ha scritto: “Svegliatevi, siamo nel 2015, amatevi di più”, come un gay all’happy hour in Porta Venezia. I più ottusi diranno che si tratta di omofobia interiorizzata, noi abbiamo senso del ridicolo ed  evitiamo.

 

Abbiamo letto titoli come “L’unica famiglia è quella tradizionale”, e ci siamo messi a ringhiare contro quei due omosessuali di destra che osano non conformarsi alla posizione progressista gay friendly. Come si permettono di non pensarla come noi? Fatichiamo a distinguere Stefano da Domenico, figuriamoci accettare che esistano posizioni differenti persino tra omosessuali. Un tempo ci si stracciava le vesti, ora si minaccia di bruciare quelle degli altri per difendere i propri diritti, come se fossero messi a repentaglio da un’intervista. Ma poi: boicottare un piatto di pasta Barilla era più semplice, un abito da mille euro si boicotta da solo, non sopravvalutatevi.

 

L’arcobaleno del pensiero gay ha un solo colore. Quand’è che abbiamo deciso che ogni intervista, dichiarazione, frammento di pensiero di un personaggio pubblico dovesse essere la linea politica di una nazione? Quand’è che abbiamo deciso che un omosessuale, per quanto ricco e di successo, non potesse mai esprimere dissenso sulle scelte personali, e iniziato a farne un cattivo maestro per tutti? Quando abbiamo scelto la superiorità della comunità all’individuo? Quand’è che siamo diventati così fastidiosamente illiberali?

 

[**Video_box_2**]Garantire la libertà di pensiero significa accettare anche, e soprattutto, opinioni differenti dalle nostre, altrimenti trattasi di uscire con gli amici. Significa anche criticarle duramente, ma qui c’è di più: non si perdona a due gay di non voler essere un modello di condotta per tutti gli altri soldatini monopensiero. Chi scrive è un libertario e totalmente in disaccordo con Domenico, e proprio per questo mai mi sognerei di pensare che se abdica al proprio ipotetico ruolo politico di liberazione (i gay che hanno bisogno di D&G per essere liberati sono messi malissimo), debba essere condannato dalla corte politicamente corretta. Come ha puntualizzato sul Guardian Domenico: parlava per sé e non contraddiceva alcuna scelta altrui. Liberiamo i gay dall’ultima catena, quella che abbiamo imposto loro: il consenso forzato. Gli unici modelli che ci piacciono sono quelli che sfilano.