Lidia Ravera (foto LaPresse)

Rottamandi di tutto il mondo, ribellatevi. Il manifesto di Lidia Ravera

Marianna Rizzini

Nessuno si aspettava che a vendicare i rottamati (e, preventivamente,  i rottamandi) giungesse non un amico o collega o parente di Rosy Bindi e Massimo D’Alema, ma addirittura Lidia Ravera, scrittrice, giornalista e assessore alla Cultura e alle Politiche giovanili della regione Lazio (giunta Zingaretti).

Roma. Nessuno si aspettava che a vendicare i rottamati (e, preventivamente,  i rottamandi) giungesse non un amico o collega o parente di Rosy Bindi e Massimo D’Alema, ma addirittura Lidia Ravera, scrittrice, giornalista e assessore alla Cultura e alle Politiche giovanili della regione Lazio (giunta Zingaretti). E invece. Invece, lungi dal ritirarsi davvero nell’inquietudine magnetica sotto il vulcano a Stromboli (come da suo omonimo romanzo del 2011), e per fortuna finalmente libera dal periodico appuntamento con le piazze NoB. in compagnia degli Antonio Di Pietro con contorno di popoliviola, Lidia Ravera, zitta zitta, ma con campagna di crowdfunding su Facebook, ha dato alle stampe “Gli scaduti” (in libreria per Bompiani dal 12 marzo). Romanzo “distopico”, così lo presenta la stessa scrittrice nella “premessa” a inizio libro, sulle generazioni che, “invece di accavallarsi”, ricominciano a susseguirsi, ma ferocemente: chi ha venticinque anni fa figli, chi ne ha trenta o quaranta produce, chi ne ha sessanta viene “ritirato” come uno yogurt dallo scaffale (in quanto appunto “scaduto”), e messo su un treno verso un nulla misterioso (forse un albergo? forse una caserma?). E’ il “1984” raveriano fatto di medici non pietosi, pasti caldi e imposti, separazioni forzate e giovani spietati e anaffettivi che corrono guardandosi nell’“aperodromo” (sorta di stadio con aperitivo e incontro sessuale incluso). “Non è un paese per vecchi”, scrive Ravera presentando il suo manifesto di ribellione contro il “futuro prossimo-prossimo, così prossimo che è contenuto nel presente”: le ha preso così, racconta, non appena ha sentito parlare di rottamazione. Il verbo le ha acceso la vena romanziera distopica, scrive, e da allora si è lasciata libera di immaginare un Partito Unico soavemente dittatoriale con un “Líder Maximo” che pare un life coach anche un po’ santone, e un “ritorno allo stato di natura” che rende felici, forse, soltanto “gli unti dall’anagrafe”, i suddetti TQ (trenta-quarantenni), e soltanto a tempo. E però i ribelli sono sempre loro, quelli che lo erano prima, gli ex sessantottini entrati nella vita facendo casino, nei loro vent’anni, gente che adesso mica potrà farsi “ritirare” così, con quella dissolvenza ovattata e crudele (mariti senza mogli, mogli senza mariti: mai ricostituire le coppie, vietato ambire, sedurre e desiderare).

 

E insomma, l’Orwell che è in Ravera, già autrice di “Porci con le ali” e di altri 28 libri, sputa fuori, in duecento pagine, l’odissea dell’indomita quasi sessantenne Elisabetta, decisa a non farsi rinchiudere chissà dove dall’esercito di giovani non più bamboccioni e pure rivendicativi (“ci avete fatti sentire ritardati”, le dice il figlio trentenne, potente ma riluttante, che si chiama guarda caso Matteo ma sotto sotto non ci crede del tutto, all’utopia rottamatrice: che sia un messaggio in codice della vendicatrice Ravera pure questo?). Tra inni nazionali e vecchia età del “disordine” che lascia spazio a un ordine allucinato, tocca pensare a come salvare un marito deportato verso l’oblio delle terze età sparite nei bunker dove non c’è traccia di vecchiezza gaudente alla “Cocoon”, il film anni Ottanta dove gli anziani, liberati dal peso psicologico dell’anzianità, ballavano in piscina bevendo cocktail multicolori con la camicia hawaiana e le ciabatte di plastica.  E non è neppure come in “Cacciatori di vecchi”, il racconto di Dino Buzzati in cui già a quarant’anni, per le strade della città, si era inseguiti da orde di giovani violenti, decisi a far fuori i padri per rito elusivo dell’angoscia di morte (era il 1962 e Buzzati scriveva: “Erano i tempi che gli uomini di oltre quarant’anni ci pensavano due volte a mostrarsi in giro nelle ore fonde della notte. Oltre i quarant’anni si era vecchi e per i vecchi le nuove generazioni avevano un totale disprezzo… si erano formate delle specie di club, di compagnie, di sette, dominate da un odio selvaggio verso gli anziani, come se questi fossero responsabili delle loro scontentezze, malinconie, delusioni, infelicità, così tipiche, da che mondo è mondo, della giovinezza…”).

 

[**Video_box_2**]Ma ora che è arrivata Ravera, il vero rottamato sul tema “scaduti” rischia di essere l’iperbolico Martin Amis di “The pregnant widow” (del 2010), con il suo scenario di eutanasia di massa dopo i settant’anni: basta una cabina a ogni angolo di strada, un Martini e la pastiglia della buona morte. Vuoi mettere col Partito Unico che “inchioda” i cittadini alla “biopolitica data di scadenza”?

Di più su questi argomenti:
  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.