Russel Tovey

Va bene il mondo boldrinizzato delle serie tv, ma lasciateci dire che non ci piace

Manuel Peruzzo

Nessuno è ossessionato dalla mascolinità quanto lo sono i gay. È bastato un profilo sull'Observer per stroncare l'immagine pubblica di Russel Tovey. L'intera intervista è la parabola di Tovey da ragnetto a manzo, cioè la trasformazione da skinny teenager fino a essere il sexy e sicuro palestrato di oggi.

Nessuno è ossessionato dalla mascolinità quanto lo sono i gay. È bastato un profilo sull'Observer per stroncare l'immagine pubblica di Russel Tovey. L'intera intervista è la parabola di Tovey da ragnetto a manzo, cioè la trasformazione da skinny teenager intimidito dalla mascolinità aggressiva dei lad (ragazzi) fino a essere il sexy e sicuro palestrato di oggi. Tovey, con estrema franchezza, dice ciò che in tempi di boldrinismi e genderfobia risulta indicibile: è grato al padre per non avergli permesso di diventare effeminato. Siccome viviamo in tempi di feedback istantaneo, Tovey ha ricevuto numerosi tweet di protesta che fanno più o meno così: come osa essere fiero di una cosa simile? Implicitamente significa disprezzare la femminilità negli uomini. Detto da un gay suona male, ma la risposta sta nel seguente paradosso: difendere l'autodeterminazione di gender "sii come ti senti", e al contempo erotizzare una precisa idea di mascolinità virile disprezzando il femmineo. È lo stesso meccanismo che fa confessare a un autore queer (eccentrico) come Bruce LaBruce di essersi allo stesso tempo arrabbiato e eccitato dopo essere stato picchiato da uno skinhead. L’erotismo non lotta con gli attivisti.

 

Tovey ha una parte in Looking, serie Hbo quality prodotta da Andrew Haigh, regista indie mediamente apprezzato. Looking racconta la vita di tre trentenni gay a San Francesco, ma non c'è il sesso promiscuo e mortifero da cruising di Friedkin, l'Aids non è una piaga che decima colpevoli irresponsabili edonisti e le comunità sottoculturali BDSM appaiono come intermezzi folklorici invece che come forme resistenziali di piacere foucaultiano. Sono vite normali. Looking è il gioco di parole dovuto al doppio significato: sia guardare, e sappiamo che il cruising per le strade, i parchi o le saune passa per l'ingaggio dello sguardo, sia "ricerca". Ricerca di un lavoro, di una relazione, di un posto nel mondo. Nel passaggio semantico tra le due cose c'è il cambiamento politico di una generazione: un tempo si cercava una marchetta, oggi si cerca il principe azzurro. Anche se il racconto di formazione è nettamente inferiore a quello di Lena Dunham in Girls, che va in onda poco prima, condividono la rappresentazione di quelli che, fino a non molto tempo fa, erano poco meno che emarginati. Il manifesto ideologico di Lena Dunham è visibile ogni volta che si toglie i pantaloncini e riane nuda mostrandoci la grande esclusa dalla rappresentazione televisiva: la cellulite. E lo fa senza piangersi addosso.

 

C'è una scena interessante nel primo episodio di Banana, serie antologica di Channel 4 scritta da Russell T. Davis (Queer as folk, Doctor Who); premessa: l'intera serie è un atto d'amore verso i twink, i ragazzi giovani a cui Pasolini avrebbe certamente dato un passaggio. Dean è un ventenne squattrinato e gli amici lo convincono a chiedere ai genitori i soldi dell’affitto. Genitori che lui racconta essere omofobi che lo hanno cacciato di casa. Scopriamo che ha mentito: sono in realtà una coppia progressista e ultra permissiva, i problemi che ha con loro non c'entrano con l'omosessualità ma con un generico malessere generazionale. A nessuno sceneggiatore italiano sarebbe venuto in mente di scavalcare il pigro cliché dei genitori retrogradi che ti disconoscono per l'orientamento sessuale. La stessa cosa accade a una transgender vittima di porn revange. L'ex pubblica i filmati intimi di lei su Facebook. Cioè la versione contemporanea della gogna. Sono i genitori a confortarla, pieni di comprensione, come la madre che dice: "Ai miei tempi non ci si riprendeva durante il sesso, sono rimasta indietro vero?".

 

[**Video_box_2**]La vita sessuale moderna nelle serie televisive è sprovvista di pietismi e scene lacrimose basate su tragedie irreversibili in quanto gay, in quanto donna, in quanto transgender. La regina nel trasformare personaggi politicamente minoritari in macchine da guerra è Shonda Rhimes, anche quando non interviene direttamente in sceneggiatura, come in "Le regole del delitto perfetto" (Peter Nowalk). C’è tutto un campionario di casistiche: protagonisti anti lorellazanardiani che usano il sesso come merce di scambio, latini che si affrancano al controllo dei genitori, fidanzate che rifiutano matrimoni con futuri mariti segretamente bisessuali. A uno spettatore che si lamentava delle scene gay, Shonda ha risposto: “Non sono scene gay ma con persone gay. Se hai appena scoperto che le serie prodotte da Shondaland hanno scene che includono persone gay, arrivi tardi alla festa”.

 

Shonda risponde nel modo in cui risponde il senso comune occidentale: è gay friendly. Eppure, togliamoci l’ultima maschera: se è giusto accettare ogni forma di diversità in quanto forma di libertà personale non significa che debba per forza piacerci (peraltro è da notare che sì, Lena Dunham mostra coraggiosamente un corpo rubensiano, ma i suoi fidanzati sono sempre molto in forma). È incoraggiante che la televisione includa ciò che un tempo era escluso, perché significa che c'è un mercato pronto a quell'offerta. Ma solo perché ora esiste anche nell’immaginario culturale non significa debba essere trattato diversamente: può non piacerti. Quando i genitori di Tovery hanno visto Looking la madre ha chiesto se il sudore nelle scene di sesso fosse reale o fosse uno spray, il padre invece ha detto: "Ti voglio bene, sei bravo, ma questa roba non fa per me". Suona liberatorio. Tovey invece si è dovuto scusare su Twitter, dice di essere stato frainteso. Che peccato.

Di più su questi argomenti: