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Tarocchi alla veneziana

Maurizio Crippa

Che cosa c’è dentro la complicata partita a carte delle elezioni in Veneto. Se vince Salvini, sarà la prima volta della destra-destra senza il Cav. Ma se vince Renzi, il nord cambia verso. Il ruolo del Matto Tosi - di Maurizio Crippa

Venezia. “Basta, si lavora con Zaia”. E lunedì niente Federale, il gran consiglio della Lega. “Non ho più tempo per litigi e beghe”. Poi è andato in via Rovani, Matteo Salvini. E’ lui che dà le carte. Ma la sorte della partita resta vaga, appesa al valore che le darà il Matto, l’Arcano zero, perché tutti i destini veri e apparenti passano da lui. Flavio Tosi venerdì notte ha voluto che la sua Liga veneta non approvasse liste proprie. Mossa interlocutoria. Ma la mattina ha detto: se va avanti così, liberi tutti. Il Veneto è luogo più complesso di quanto di solito si immagini. Nelle prossime regionali (10 maggio) si specchiano le anime di un racconto più grande, nazionale. Le immagini di superficie disegnano uno scontro che sembra soltanto nordista, un duello rusticano, che dipende dagli umori del Matto. Ma quando crolla il castello di carte, poi cambia tutto. “Beh, se la Lega si suicida…”, sorridono quelli del Pd, premessa di ogni ragionamento politico. Se il gioco a somma zero di Tosi (e nei sondaggi non è tanto di più) facesse perdere Luca Zaia, il governatore leghista e candidato ancora non si sa bene di quanti alleati, e vincere Alessandra Moretti, la candidata pd che sta sudando tutti i mercati per togliersi di dosso il profilo di LadyLike, sarebbe più che un test regionale. Sarebbe l’indicazione che non ti aspetti: il nord avrebbe cessato dopo vent’anni e più di essere terra ostile per la sinistra. Se invece vincerà Zaia, cioè Matteo Salvini, sarebbe la prima volta di una destra dopo Berlusconi. Senza Berlusconi. Il segno che un’altra destra, molto destra, è possibile.

 

Nelle baruffe del Veneto si specchiano molte cose, come nell’acqua del Canale fuori da Palazzo Ferro Fini, dove in questi giorni litiga di brutto il Consiglio regionale. Nel Canale si specchia anche la cupola della Salute, ma quella è una cosa diversa, quella è Venezia e Venezia non è Veneto, come ognun sa. Anche lì si vota, per il sindaco, dopo il disastro del Mose. Ma alla Lega interessa poco, lì vince sempre la sinistra (se non si suicida). E tutti dicono, quasi rassegnati, che potrebbe vincere il senatore Felice Casson. Anche a Matteo Renzi non interesserebbe tanto, se le primarie le vincesse Casson. “Dopo quello che è successo col Mose, è anche normale che l’elettorato voglia un uomo pulito, d’ordine”, dicono i veneziani di sinistra che pure lo voteranno. E dicono sottovoce che lì, a Venezia, Renzi forse eviterà di andare. Chissà.

 

Ma è dentro al palazzo che bisogna cercare il riverbero nazionale, l’ombra lunga che arriva fino a Roma. Oltre le baruffe e i riposizionamenti in corso in un centrodestra che ha esaurito una fase storica. Bisogna lasciar perdere un poco la Lega. Conviene partire da chi le carte vorrebbe sparigliarle, e dare mazzo. Magari da un ex democristiano esperto, che è stato nel Pdl e adesso è uno dei frutti maturi della diaspora che ha portato l’ex partito del Cav. a perdersi in cinque gruppi diversi. Clodovaldo Ruffato è il presidente Ncd del Consiglio regionale veneto. Esperienza da vendere, ai tarocchi sarebbe il Papa, o il Giudizio. Un canale diretto con Angelino Alfano, e soprattutto con Gaetano Quagliariello. Quel che pensa della Lega salvinizzata non è un mistero. E’ anche incazzato, nel modo rotondo ma letale in cui può esserlo un doroteo: “Noi con la Lega di Salvini non abbiamo niente da spartire. Non abbiamo intenzione di entrare in coalizione, non possono chiederci di snaturare la nostra identità. Noi stiamo costruendo l’area dei moderati, non dobbiamo farci travolgere dal populismo”. Un giudizio pronto a diventare scommessa politica: “Sono stati loro a dire che non ci vogliono, eppure da cinque anni siamo alleati leali, abbiamo fatto anche buone cose”. Dunque mano tesa a Tosi, se farà il passo? “Noi siamo pronti a costruire questo progetto, come siamo pronti ad andare da soli”. Col rischio di far perdere il centrodestra? “Qualcuno dovrebbe ricordare che il centrodestra ha perso il Friuli, qui vicino, perché non hanno voluto accordarsi con una lista civica”. Ci sarebbe anche da riflettere sul perché un pezzo dell’ex centrodestra Zaia lo butterebbe in laguna. La verità scomoda, ma significativa, va oltre la sua personale debolezza come leader. Zaia rappresenta un paradosso negativo. Giancarlo Galan, al netto di tutti i limiti che non si starà a elencare, incarnava il turbo-berlusconismo liberista, pragmatico. Infrastrutture, Sanità, progetti di sviluppo (cementificazione, gli imputano) del territorio. Zaia ha interpretato un ruolo difensivo, malmostoso, arroccato del Veneto. Le colpe della crisi? Tutte di Roma, dell’Europa. Ma non è così, in una regione che in dieci anni ha perso il 10 per cento del pil. Un restauro conservatore, per la compagine che fu rivoluzionario-propulsiva, è uno smacco storico, che va al di là della crisi di leadership carismatica.

 

E’ da qui che era nato il progetto di Tosi. I leghisti legati più strettamente al sindaco di Verona oggi sono in difficoltà. Fuori dai denti, fuori microfono, ammettono di malumore che sta sbagliando, sta andando a schiantarsi. E poi dalla Lega non si esce, se non per alto tradimento. Ma la storia è chiara. Il giro di giostra di Tosi, Bobo Maroni (allora) benedicente, era tentare un salvataggio al centro, amministrativo e territoriale, di una Lega data ormai per morta, anche fuori da un centrodestra dato per morto. Poi, semplicemente, sono spuntati i due Matteo. Non è colpa di Tosi. E poi mica tutto è lineare. Tosi a Verona ha sempre governato strizzando l’occhio alla destra, drenando consenso pure dalla curva nazistoide dell’Hellas. Però la Liga ha un dna quasi di sinistra, più Batasuna che Giorgia Meloni. Racconta chi c’era che a Roma ai vecchi militanti gli veniva da piangere, a vedere calar giù quelli di CasaPound. Ma allora non andranno a votare, chiedi scettico. “Vanno, vanno… la bandiera prima di tutto”. Che poi la Lega non ha governato male. La gente, soprattutto fuori dalle città, in quello che in eterno verrà chiamato il Veneto “profondo”, che è tanto, in una regione in cui i 4/5 della popolazione vivono in piccoli comuni o frazioni rurali e montane, non ha poi tutto questo scontento. Sì, ma è contento di cosa? Lucio Tiozzo è capogruppo del Pd in regione. Esperto, preparato. Se gli chiedi a bruciapelo che effetto fa un centrodestra che potrebbe suicidarsi, ride.

 

Se chiedi a Tiozzo se Moretti è la candidata giusta, risponde che non è poi così sicuro che sia una partita persa. “Il Pd è il primo partito in Veneto, 32 per cento, governa molte città. Se il centrodestra è in difficoltà non è per un caso, non è per Tosi. E’ che qui abbiamo avuto cinque anni di immobilismo. Progettualità? Relazioni industriali? Una visione internazionale per una regione che è il crocevia di tutte le realtà produttive d’Europa? Niente”. Ma anche: “E’ vero, al nord è vent’anni che non vinciamo, siamo rimasti attaccati a una visione fordista e intanto chiudevano le fabbriche, il petrolchimico. Adesso alcune cose stanno cambiando e la Moretti può fare bene, perché oggi serve anche la mediaticità. Ma si vinca o si perda, poi serve il consolidamento di una classe dirigente che rimanga, costruisca”.

 

Il Veneto è una terra annoiata, ma poco propensa a maledire la malasorte. E’ anche la regione da cui vengono i cenni di ripresa economica. In cui Roberto Zuccato, il presidente di Confindustria Veneto, undicimila imprese, se n’è uscito con ottimismo governativo: “I segnali di ripresa ci sono e le riforme fatte porteranno a una fiammata di assunzioni a tempo indeterminato che si rifletteranno in un aumento dei consumi interni”. Ma è una partita in salita per la sinistra, e il Pd è tante cose. Roberto Fasoli, veronese, sindacalista per una vita, ha i suoi dubbi. Quello che bisogna capire è che “il momento d’oro è stato prima, prima della globalizzazione, prima della moneta unica. Restare legati all’immagine della locomotiva veneta è sbagliato. Le imprese sono in difficoltà e non sarà il Jobs Act a ricreare i posti di lavoro che si sono persi. Noi qualcosa abbiamo contribuito a farla anche con questa maggioranza: la legge sul turismo, i distretti industriali. Ma al Pd oggi non servono nuovi slogan, magari scimmiottando la destra. Serve una politica, mettere insieme le categorie produttive, i sindacati e i datori di lavoro. Parlano dell’immigrazione? Ma se abbiamo 60 mila figli di immigrati solo a scuola? Cosa fanno, portano la Le Pen a Venezia?”. Non basta parlare per cambiare verso. “La Moretti va bene, ma poi è la politica che deve fare: lavoro, formazione, sistema della Sanità da rivedere, difesa dell’ambiente, la lotta alla corruzione”. Il programma di Fasoli è bell’e fatto.

 

Dall’altra parte dello specchio il mondo è capovolto. Federico Caner è il giovane leghista che non t’aspetti in branco con Salvini. Ha un master alla Bocconi, snocciola numeri. Non teme il suicidio. Puro verbo di Matteo: “Eravamo un partito morto, ora si vola. Zaia ha un consenso che va oltre il centrodestra, ha il profilo dell’amministratore. Chi va a votare, sulla scheda, sceglie Zaia”. Prospettiva lineare. Ne verrà fuori un Veneto senza più centro. Sicuro che l’elettorato non volterà le spalle a Salvini, come dice Tosi, come dicono (gufano?) i centristi? “Non credo che Salvini voglia cambiare la Lega, dire addio al federalismo, alle nostre battaglie. La sua è tattica politica, vede che su alcuni temi si possono fare battaglie comuni”. Ma il vero leghista soffre. “Soffre, ma vota. Capisce e vota. E poi, Tosi che dice che la Lega ha cambiato idea non lo capisco: lui era quello che chiudeva i campi nomadi. E adesso dice con la Le Pen no?”. Marine Le Pen oggi non sarà a Venezia, con Salvini e la Meloni, anzi ha dovuto giustificarsi per aver mandato i suoi saluti a Roma. Però se vincesse questa Lega, che segnale uscirebbe dal laboratorio veneto? “Un bel segnale. Segnale che sarà Matteo contro Matteo, partiti forti e leadership personale”.

 

E si torna al Matto. E se capitasse? Se capitasse, il messaggio sarebbe quello che indica Stefano Fracasso, giovane consigliere pd. Ha le idee chiare, soprattutto per spiegare quel che sta accadendo alla sinistra. “Se non capita, sta capitando comunque qualcosa di importante. La sinistra non era mai entrata in empatia con il Veneto vero, l’artigianato, la piccola e piccolissima impresa. Renzi sta offrendo un profilo diverso. Per la prima volta la sinistra qui non è sentita come nemica, partito del posto fisso nel pubblico. Prima era il partito della magistratura, adesso si sente dire che i giudici devono assumersi le loro responsabilità. Non è neanche questione dell’articolo 18, che qui interesserà un minimo della popolazione”. Che segnale sarebbe? “Zaia è stato il più abile dei conservatori. Ora c’è necessità di cambiare, e per la prima volta i veneti intuiscono che il cambiamento viene da un’altra parte. Zaia è immobilismo, Salvini è isolamento. Pensa alle nostre ‘multinazionali tascabili’, aziende con 300 dipendenti ma che lavorano in tutto il mondo. Per loro la burocrazia è un intralcio. Ora sentono Renzi che dice cambiamo lo stato. Non so se Moretti può bastare. Ma se capita, è perché si sta cambiando”. Tutto dipende dal Matto, che sta tra il Mondo e il Bagatto, tra il giocoliere e l’armonia.

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"