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Tra Mps e Carige. Perché Renzi ha ritirato l'assalto alle fondazioni

Alberto Brambilla

Non c’è più urgenza, l’auto logoramento è sufficiente. Destini paralleli e senso di accerchiamento. L’origine delle pressioni.

Roma. Si rumoreggiava di un accerchiamento alle fondazioni da parte del governo – separazione forzosa dalle banche inserita nelle bozze del disegno di legge sulla concorrenza – ma nulla si è concretizzato. D’altronde lo sconquasso provocato dalla trasformazione per decreto delle principali banche popolari in Spa è già politicamente impegnativo; non era il caso di aggiungere altro. E poi aggredire le fondazioni non pare più così urgente come qualche anno fa: il loro peso è minore, alcune si sono quasi autoliquidate. Certo non per strategia ma per logoramento, come nel caso della senese Mps e della genovese Carige. La pressione congiunta delle istituzioni internazionali ha costretto ad abbandonare gradualmente ogni ambizione di egemonia sulle banche conferitarie, sempre meno munifiche di dividendi (peraltro ampiamente tassati).

 

Il Fondo monetario internazionale suggeriva nel 2013 al governo di forzare su tre punti nevralgici: rafforzamento di capitale, smobilitazione di crediti in sofferenza e soprattutto sradicare la penetrazione della politica negli organi di vertice. Il governo ha parzialmente obbedito. La Bce ha colpito: in conseguenza delle carenze di capitale emerse dagli stress test che hanno bocciato sia Mps sia Carige, ha richiesto nuovi aumenti di capitale rispettivamente da 3 miliardi (superiore alle attese del mercato) e di 700 milioni di euro. Richiesta da soddisfare a breve che mette le fondazioni davanti alla concreta eventualità di allentare ulteriormente il legame con gli istituti, legame già indebolito da scelte manageriali infelici o operazioni borderline figlie di logiche diverse dalla massimizzazione della redditività bancaria. La Fondazione Mps è toccata in maniera tangenziale dai problemi attuali della banca, ben più grossi. La richiesta straordinaria di capitale, unita a perdite record nel 2014, determinerà l’ingresso dello stato nell’azionariato di Mps con una partecipazione del 4 per cento; conseguenza dell’impossibilità di corrispondere al Tesoro gli interessi sui prestiti ricevuti coi Monti bond. Negli anni la Fondazione ha difeso con una tenacia rivelatasi masochistica il controllo sulla banca ma, dopo avere eroso il patrimonio per rimpinguare le casse del Monte, è scesa dal 51 al 33 per cento e infine al 2,5 odierno liquidando gran parte della partecipazione per coprire i propri debiti. Mantenere la stessa quota oggi significa sborsare 75 milioni, un quarto del patrimonio, in occasione della ricapitalizzazione che l’assemblea esaminerà il 14 aprile. “Più scendiamo, meno contiamo”, ha detto il presidente Marcello Clarich, consapevole però che l’ente conserva una certa influenza strategica in forza del patto di sindacato stretto con i fondi esteri Btg Pactual e Fintech – insieme hanno un pacchetto del 9 per cento – che permette di designare un terzo del cda e il presidente di Mps al rinnovo dei vertici previsto il 19 marzo. Processo analogo per la Fondazione Carige: dopo diverse operazioni è passata dal 46 al 19 per cento l’anno scorso, anno delle traversie giudiziarie culminate col rinvio a giudizio del dominus della banca Giovanni Berneschi accusato di truffa.

 

[**Video_box_2**]Il presidente della Fondazione, Paolo Momigliano, dice che l’ente scenderà allo 0,5 per cento prima dell’aumento. Indiscrezioni del quotidiano spagnolo Confindencial davano il Banco Santander pronto alla mossa a novembre. Ad alleggerire il fardello della Fondazione ci ha pensato invece l’imprenditore Vittorio Malacalza con un accordo per l’acquisto del 10,5 per cento delle azioni. Attivissimo a Genova, l’imprenditore poliedrico, amico e poi nemico di Marco Tronchetti Provera – erano soci in Pirelli –, ha liquidità per 1 miliardo e non ha escluso di potere salire ancora in Carige. Le versioni sulle sue intenzioni sono opposte: venderà le quote con profitto in quattro mesi oppure rilancerà la banca per compiere la sua personale rivincita verso quei poteri locali capeggiati da Berneschi che ne osteggiarono l’elezione alla Confindustria ligure nel 2008. Che sia, secondo questa logica, un grande imprenditore ad assumere il ruolo di collettore tra banca e territorio, una specie di “fondazione personale”?

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  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.