Una manifestazione di avvocati a Napoli (foto LaPresse)

Liberalizzare conviene

Arretramenti e barricate degli avvocati anti liberalizzazioni

Redazione

Il ddl Concorrenza del governo, finalmente il mercato delle competenze fuori dall’ambito giudiziale, le ragioni degli outsider.

Roma. L’apertura della professione forense a maggiore concorrenza è come la tela di Penelope: un governo tesse, il Parlamento disfa, un nuovo governo ci prova, ma poi fa dietrofront. Prova e riprova, nel tempo alcune cose mutano: oggi le famigerate tariffe professionali sono parametri indicativi e non più obbligatori, mentre ogni cliente ha diritto a chiedere al suo legale un preventivo per la prestazione richiesta. Non è molto, i passi avanti sono avvenuti soprattutto sul fronte consumeristico, mentre poco è accaduto “sul lato dell’offerta”, cioè nelle regole che disciplinano accesso, assetto economico e organizzazione della professione. Così, continuiamo ad avere una pletora di piccoli e piccolissimi studi legali, giovani praticanti sfruttati per anni, aree del paese in cui il confine tra avvocato e sbrigapratiche è purtroppo labile (a danno della professione e della sua onorabilità, sia chiaro).

 

Tra fine 2012 e inizio 2013 un Parlamento a fine legislatura provò a sancire il monopolio degli avvocati sulla consulenza legale stragiudiziale. Solo il rischio che centinaia di migliaia di altri professionisti, come i patrocinatori e gli esperti di infortunistica stradale, fossero sbattuti fuori dal mercato del lavoro indusse a una soluzione meno estrema: l’esclusiva è limitata all’attività stragiudiziale connessa a quella giudiziale. Eppure non c’è alcuna ragione prudenziale per non liberalizzare completamente la consulenza legale stragiudiziale, aprendola a giuristi d’impresa, consulenti del lavoro, commercialisti e così via. Il ddl Concorrenza presentato dal governo Renzi è esplicito: gli avvocati sono avvocati nell’ambito giudiziale, fuori da quell’ambito il mercato delle competenze ha da essere libero. E’ così nella gran parte delle economie avanzate. Se qualche scossone è arrivato, è merito delle istituzioni europee. Lo scorso anno la Corte di Giustizia europea ha sentenziato che è legittimo conseguire il titolo di abogado in Spagna ed esercitare la professione in Italia. Una sorta di “sentenza Bosman” per gli avvocati. Come lo spagnolo Alvaro Morata o lo slovacco Marek Hamsik possono giocare in Serie A senza alcuna limitazione, così i due giovani professionisti marchigiani Angelo e Pierfrancesco Torrisi hanno avuto il diritto di iscriversi all’Ordine Forense di Macerata in virtù del loro titolo spagnolo. Unico vincolo: debbono evidenziare che sono abogados e non avvocati, per trasparenza verso i clienti. E’ giusto che sia la sensibilità dei cittadini clienti a determinare il successo o l’insuccesso del legale iberico rispetto al suo collega dal titolo italico. Il mercato è il giudice più impietoso che c’è, troppi avvocati cresciuti a pane e primato del diritto sull’economia faticano ad accettarlo.

 

[**Video_box_2**]Un campione dell’avvocatura antimercatista è Maurizio de Tilla, oggi al vertice dell’Associazione Nazionale Avvocati. Da anni lancia anatemi contro la liberalizzazione della professione. Ora il suo obiettivo è contrastare il tentativo del ddl Concorrenza di consentire in Italia la costituzione di società multidisciplinari e l’apertura degli studi legali ai soci di capitale non avvocati. Evoca i poteri forti, de Tilla. Eppure non tutti i colleghi la pensano come lui: “Il nanismo è un grave problema e la società di capitali una possibile soluzione – dice Alessandro De Nicola, avvocato e presidente dell’Adam Smith Society – Se poi ci saranno anche le banche o le assicurazioni a partecipare, il consumatore ne avrà beneficio, a patto che ci sia severa regolamentazione dei conflitti di interessi”. Infine, sulle società multidisciplinari, il commento più efficace è del presidente del Cupsit (Comitato unitario patrocinatori stragiudiziali italiano), Stefano Mannacio: “Con me lavora una giovane praticante avvocato. Per quale ragione non posso un giorno chiederle di aprire un’attività congiunta, ognuno con la propria specificità?”.

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