Asim Qureshi, alla guida dell'ong Cage (foto LaPresse)

I professionisti dei diritti umani che inneggiano indisturbati alla guerra santa islamica

Giulio Meotti

Il leader dell'ong Cage invita a “sostenere il jihad dei nostri fratelli e sorelle in Iraq, Afghanistan, Palestina e Cecenia” - di Giulio Meotti

Roma. “Cageprisoners: importante gruppo dei diritti umani o apologeti del terrorismo?”, si domanda la Bbc in questi giorni. La rivelazione dell’identità di “Jihadi John”, il boia dell’Is, alias Mohamed Emwazi, sta gettando nel totale discredito una delle organizzazioni umanitarie più influenti e di maggior successo del Regno Unito. Nel mirino c’è Asim Qureshi, alla guida della ong Cage. Un video dell’uomo, che in questi giorni ha definito il decapitatore dello Stato islamico “un uomo magnifico”, lo mostra durante una manifestazione davanti all’ambasciata americana di Londra. Si vede Qureshi incitare a “sostenere il jihad dei nostri fratelli e sorelle in Iraq, Afghanistan, Palestina e Cecenia”. E ancora: “Quando vediamo Hezbollah sconfiggere le armate di Israele, sappiamo dov’è la soluzione e la vittoria. Allahu Akbar!”. Un altro video mostra Qureshi parlare di sharia e di lapidazione: “Sono d’accordo con i concetti islamici su come gestire le punizioni”. A domanda se sia a favore della pena di morte, Qureshi risponde: “Sì, da una prospettiva islamica”. Il direttore di Cage ha obiettato sull’uso dell’espressione “suicide bombing”, sarebbe meglio chiamarle “operazioni di martirio”. L’organizzazione umanitaria viene accolta a Downing Street e alle sue serate di fundraising sono comparsi Vanessa Redgrave, Victoria Brittain, Peter Oborne e Sadiq Khan. E tra le fondazioni che elargiscono denaro a Cage ci sono il Joseph Rowntree Trust, il fondo quacchero creato dal magnate del cioccolato, e la Roddick Foundation, la charity di Anita Roddick, quella di Body Shop.

 

Eppure non è la prima volta che Cage finisce sotto accusa. La prima fu quando uscirono i video di una serata di raccolta fondi dell’organizzazione umanitaria in cui, fra gli ospiti d’onore, c’era Anwar al Awlaki, il religioso yemenita-americano ispiratore della strage di Charlie Hebdo e di altri attacchi. Poi c’era stata la fotografia di Moazzam Begg, allora a capo di Cage, già detenuto di Guantanamo e sostenitore dei talebani, davanti alla porta di Downing Street assieme ai dirigenti di Amnesty. L’allora segretario generale di Amnesty, l’italiano Claudio Cordone, disse: “Begg e altri nel suo gruppo Cageprisoners hanno idee molto chiare sul ruolo del jihad in chiave difensiva. Queste idee sono antitetiche con i diritti umani? La nostra risposta è no”. Ieri lo Spectator paragonava la débacle di Cage ai progressisti americani che si accompagnavano alle Pantere nere. “Nel 1970 fu chiamata ‘radical chic’ la tendenza dei liberali benestanti a fare una consorteria con i rivoluzionari. Cage è l’equivalente delle Pantere nere e, per anni celebrità, giornalisti, politici e organizzazioni per i diritti umani, sono state felici di placare la loro colpa e crogiolarsi nella gloria riflessa dei ragazzi di Guantanamo”. Con la storia di Qureshi, la collusione, acclarata, fra il jet set dei diritti umani e il jihadismo ha raggiunto livelli imbarazzanti. L’umanitarismo d’establishment ha oltrepassato la sottile linea rossa che separa la difesa dei diritti umani, anche per i terroristi, dalla compiacenza e dalla collusione con le loro odiose idee totalitarie.

  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.