L'account Twitter del U.S. Central Command hackerato nei giorni scorsi

E' "giusto" che Twitter chiuda gli account dell'Isis e "sbagliato" che Putin silenzi i blog degli oppositori?

Giovanni Maddalena

Che cosa si può dire? E' giusto dire tutto, vedere tutto e sapere tutto? Perché vietare qualcosa, visto che la comunicazione non ferisce fisicamente? Dove sono i limiti della violazione della privacy quando c’è di mezzo il bene di tutti o la giustizia? Al centro del dramma c’è sempre la libertà.

Un oppositore di Putin viene ucciso misteriosamente e comincia la girandola: gli uni dicono che Putin è un dittatore che impedisce il pensiero libero e un omicida, gli altri che gli oppositori con i loro blog e le loro manifestazioni sono forse omicidi e, di sicuro, sabotatori. Terroristi islamici minacciano il fondatore di Twitter e il medesimo social network per aver chiuso i loro account: accusano l’impresa americana di dittatura di pensiero così come gli americani accusano loro. Snowden, dopo Assange, mostra che i governi occidentali possono controllare e controllano quasi tutti: per alcuni i due sono eroi, per altri traditori. Per non parlare di Charlie Hebdo e, nel nostro piccolo, dei soliti problemi di pubblicazione di intercettazioni.

 

In ogni caso, al centro del dramma c’è sempre la libertà. L’etica della comunicazione, che è la disciplina che dovrebbe descrivere o normare la libertà in questo campo, è l’araba fenice. Che cosa si può dire? È giusto dire tutto, vedere tutto e sapere tutto? Perché vietare qualcosa, visto che la comunicazione non ferisce fisicamente? Dove sono i limiti della violazione della privacy quando c’è di mezzo il bene di tutti o la giustizia?

 

Come per tanti temi etici, una delle cose curiose della nostra epoca è il patchwork che alberga in ciascuno di noi di fronte a queste domande, spesso a prescindere dalle convinzioni teoriche. Eccone uno dei tanti possibili: Twitter fa bene a chiudere gli account di fanatici, Putin fa male a chiudere quelli degli oppositori, #jesuischarlie ma gli Stati Uniti dovrebbero processare Snowden per alto tradimento, bisogna pubblicare le conversazioni di tutti ma, s’intende, mai le mie. Ovviamente, le combinazioni sono infinite. Insomma, in ciascuno ci sono risposte diverse e pesi diversi anche per situazioni analoghe. È la confusione che si crea è ottima soprattutto per chi può controllare pesi e misure.

 

La questione di base è quella antica della libertà, al fondo della quale si trova una grande alternativa: la libertà è pura autonomia, e quindi si può sempre dire e fare tutto, o è legame con la verità?

 

Il problema è che entrambe le soluzioni radicali ci sembrano esagerate. Fare e dire in assoluto ciò che si vuole ci sembra che porti all’anarchia, alla guerra di tutti contro tutti e alla preminenza del più forte. Ma la “verità” ci pare che coincida con definizioni oppressive e con lettere maiuscole imposte più che accettate. Così, siamo per una via di mezzo, senza mai sapere dove questo mezzo si debba porre, spesso alla fine seguendo le proprie passioni, che poi giustifichiamo con argomenti.

 

[**Video_box_2**]Forse, sarebbe meglio guardare in faccia il problema, cercando almeno di spazzare via i fantasmi. Per esempio, siamo sicuri che sia un’imposizione il legare la libertà alla verità? La verità di per sé non è un insieme di definizioni imposte, ma è l’affermazione di un evento dove scopriamo ciò che stavamo ricercando. E, a differenza di quanto si sente dire tante volte, cerchiamo per trovare, anche quando cerchiamo le chiavi di casa o la soluzione di un problema medico, come diceva Diego Marconi in un bel libro intitolato “Per la verità”. Perché dovremmo rinunciare a cercare la verità – e a proporla, sebbene coscienti della nostra fallibilità e dell’inevitabile approssimazione – quando si tratta di comunicazione? Magari i patchwork di pezzi confusi diventerebbero mosaici con un senso.

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