Matteo Renzi (foto LaPresse)

Cosa pensa Renzi quando cambia legge elettorale e Costituzione? La lezione dei politologi

Serena Sileoni

Scriveva Alessandro Giuli sul Foglio del 25 febbraio un semi-serio peana della democrazia. Non sono sicura che la democrazia rappresentativa sia mai stata, come dice il condirettore, azzoppata, perché non sono sicura che abbia mai poggiato su solide gambe, se non nei sogni degli accademici.

Scriveva Alessandro Giuli sul Foglio del 25 febbraio un semi-serio peana della democrazia. Non sono sicura che la democrazia rappresentativa sia mai stata, come dice il condirettore, azzoppata, perché non sono sicura che abbia mai poggiato su solide gambe, se non nei sogni degli accademici. Se non esiste giustificazione al potere migliore della democrazia, non esiste nemmeno una prassi democratica che accertatamente sia in grado di limitare il potere. Tra democrazia e autorità il rapporto è solo legittimante. Meglio di nulla, ma nulla rispetto all'esercizio effettivo del potere che l'autorità sovrana in democrazia può legittimamente affermare.

 

Ecco perché il problema del funzionamento e dell'organizzazione dei corpi intermedi, classicamente i partiti ma ormai non più solo essi, del loro rapporto con le istituzioni e dell'organizzazione delle istituzioni stesse è, per quanto distante dai problemi quotidiani, un problema centrale. E' un insegnamento risalente, lo stesso che invita a preoccuparsi più del bilanciamento tra poteri che della loro ultima legittimazione, lo stesso che ha consentito ai giudici di farsi organo contro-maggioritario rispetto ai parlamenti e all'Europa di superare lo scoglio del deficit democratico.

 

La riforma elettorale, arrivata quasi al termine, e quella costituzionale, alla fine del primo giro di approvazione, restano molto più importanti di quanto una prima reazione voglia. Quanto alla riforma elettorale, a proposito di potere contro-maggioritario, l'immaturità dei partiti ci ha condotti a una situazione surreale di un sistema di voto ricavabile per via interpretativa dai tagli della Corte costituzionale. Senza la spinta della Consulta - azzardata ma chissà, benefica - non avremmo avuto nemmeno l'Italicum. Una legge con qualche ombra, specie quanto alla individuazione dei candidati e al mix tra voto di preferenza e candidature bloccate (chi scrive, per la cronaca, non ha alcun riserbo per le liste bloccate), una legge più lontana dallo smart-government (per continuare sul filo del discorso di Alessandro Giuli) di un sistema uninominale, una legge che cade nella retorica della rappresentanza di genere, ma comunque un legge da cui sarà possibile individuare un risultato politico più chiaro di oggi.

 

Basta questo per avere un sistema politico stabile? Naturalmente no. Come ha sempre ripetuto il professor Gianfranco Pasquino, quello che più conta per il funzionamento del sistema politico, e quindi della democrazia, "è il rapporto fra partiti e istituzioni, fra i sistemi di partito e il modello di rappresentanza e di governo, fra i cittadini variamente associati, i partiti e le istituzioni" (v. all'esaustiva raccolta delle sue riflessioni "Partiti, istituzioni, democrazie", il Mulino, 2014, p. 33). Quindi anche, tra le altre cose, l'assetto istituzionale. La riforma del titolo V sta lì a ricordarci tutti i giorni i pericoli di una riforma radicale e a tutti i costi dell'organizzazione dei poteri, pericoli esasperati dall'assottigliamento delle maggioranze costituzionali su quelle politiche. Da quei pericoli non è affatto indenne l'attuale processo di modifica, sia nel metodo (avvilenti le sedute notturne) sia nel merito (rischiosa una riforma molto ampia, dove qualcosa può cadere dentro o fuori. L'esempio più lampante è perdere l'occasione dell'abbinata riforma costituzionale/riforma elettorale per eliminare la vergogna del voto all'estero).

 

[**Video_box_2**]Un governo che si occupi solo delle condizioni di cornice della vita pubblica e delle interazioni sociali è un governo che ha compreso quel senso del limite di cui nemmeno la democrazia è di per sé garante. Sarebbe già molto, per gli italiani, avere un sistema politico meno capriccioso e immaturo. I sistemi, e non solo le leggi, elettorali e quello costituzionale non cambiano la testa di chi governa, ma possono aiutare ad avere un contesto più stabile. Se i nostri governanti ci credessero davvero, non avrebbero fremuto così tanto per l'elezione del Presidente Mattarella. Forse perché, appunto, la maturità di un sistema politico dipende anche dalle teste che lo guidano.
Serena Sileoni