Pure in America s'invoca la difesa dei cieli dall'assalto di Etihad & Co.

Alberto Brambilla

Le compagnie aeree degli Stati Uniti stanno conducendo un attacco senza precedenti alle rivali del Golfo persico nel tentativo di frenarne l’accesso al mercato americano e contenerne l’ascesa globale.

Roma. Le compagnie aeree degli Stati Uniti stanno conducendo un attacco senza precedenti alle rivali del Golfo persico nel tentativo di frenarne l’accesso al mercato americano e contenerne l’ascesa globale.

 

Il mese scorso gli amministratori delegati di Delta, American e United hanno chiesto all’Amministrazione Obama di restringere l’accesso agli aeroporti domestici per Emirates, Etihad Airlines e Qatar Airways usando l’argomento retorico della concorrenza sleale, additandole in quanto sussidiate a profusione dai governi mediorientali che le controllano. Le restrizioni all’ingresso sono un’arma difensiva usata da Canada, Germania, Cina e Corea del sud, secondo il Center for aviation (Capa). Ma la richiesta proveniente dall’America coincide con un’eclatante retromarcia rispetto alle politiche di aperta concorrenza nei cieli perseguite e promosse dagli Stati Uniti fin dal 1992 mediante accordi internazionali  (“open skies”) che hanno portato a maggiore concorrenza, all’abbassamento delle tariffe per i passeggeri e alla moltiplicazione delle rotte globali.

 

Kenneth J. Button, esperto di fama globale e direttore del Center for Transportation, Policy, Operations and Logistics alla George Mason University, ravvede una manovra protezionista.  “Storicamente le compagnie americane sono cresciute in un ambiente molto protetto e solo dagli anni Novanta hanno affrontato condizioni competitive. Le tre principali sono cresciute mediante aggregazioni e hanno cercato di dominare le acquisizioni globali sviluppando attivamente alleanze che includono molti vettori sussidiati dagli stati. Gli Stati Uniti hanno perseguito politiche di ‘open skies’ quando le compagnie di casa erano più grandi delle concorrenti e hanno beneficiato di vantaggi significativi in termini di riduzione di costi”, dice Button al Foglio. 

 

Nel dossier di 55 pagine inviato alla Casa Bianca – non pubblico – le compagnie americane asseriscono che quelle del Golfo ottengono fino a 38 miliardi di finanziamenti pubblici. Etihad, la più giovane e piccola delle tre, è particolarmente esposta alle critiche  visto il rapido tasso di crescita di rotte e passeggeri e la determinazione con cui punta verso gli Stati Uniti, scriveva ieri l’International New York Times. Etihad ha oltre cento aerei e raggiunge 110 destinazioni anche India, Australia, Brasile e, nel giro di sei anni, è passata da uno a sei voli verso gli Stati Uniti. Emirates e Qatar raggiungono nove città americane, mentre Delta e United hanno solo un volo al giorno per Dubai o Doha. Il conto dei sussidi per Etihad arriverebbe, secondo il dossier, a 17 miliardi di dollari in dieci anni da parte dell’emirato di Abu Dhabi.

 

Il management di Etihad respinge le accuse dicendo che avvantaggiarsi in un mercato competitivo per fare soldi e remunerare gli azionisti, migliorando la qualità del servizio, non ha niente di deplorevole perché poi saranno i passeggeri a scegliere con chi volare. James Hogan, l’amministratore delegato, manager di nazionalità australiana, nota piuttosto la frustrazione dei vettori americani per non essere stati capaci in questi anni di adattarsi alla globalizzazione del mercato ripiegando sul tentativo di intralciare i concorrenti.

 

A fare imbizzarrire i rivali, anche europei, è la strategia di espansione di Etihad che compra quote di minoranza in compagnie piccole o periclitanti per comporre una rete globale di vettori trasversale rispetto alle tre grandi alleanze Star Alliance, One World e SkyTeam. Quest’ultima è l’allenza di cui fa parte Alitalia salvata da Etihad che ora controlla il 49 per cento delle azioni; limite massimo per un soggetto extraeuropeo. Alitalia fa anche parte della joint venture transatlantica più grande al mondo per numero di passeggeri con Delta e Air France. Quando le trattative Etihad-Alitalia erano in corso, a marzo, il quotidiano francese Echos riferiva della minaccia di un ricorso di Delta verso la partnership per difendere le rotte transatlantiche. Delta aveva trovato idealmente sponda nella tedesca Lufthansa: preoccupata dalla prospettiva dall’ascesa inarrestabile delle compagnie mediorientali e turche, ha fatto appello alla Commissione europea invocando “condizioni di concorrenza più eque”. L’inglese British Airways anziché osteggiare gli arabi ha preferito stringere un patto di ferro con loro: Qatar Airways possiede il 10 per cento del la holding che controlla la flotta britannica (e Iberia) per crescere su rotte occidentali. Se non puoi batterli, unisciti a loro.

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  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.