Senza notai, il far west. Ma è vero?

Redazione

Meno timbri per tanti. Perché liberalizzando si rilanciano le compravendite immobiliari. La concorrenza tra questa professione e quella degli avvocati è un risparmio per i consumatori. L’evoluzione utile.

Roma. Non esiste economia di mercato senza una piena e riconosciuta affidabilità dei contratti. Pensiamo al mercato immobiliare: è fondamentale che l’acquirente e il venditore siano certi dell’identità della loro contraparte, che il venditore sia davvero il proprietario del bene in questione o che quest’ultimo sia nelle condizioni fisiche e giuridiche che il venditore dichiara. Discorsi simili valgono con le società di capitali, le cui vicende formali e sostanziali hanno bisogno del massimo livello possibile di trasparenza nei confronti degli azionisti, dei lavoratori, dei fornitori e di chiunque entri in contatto diretto o indiretto con loro. I notai, insomma, non sono inutili: la certezza di quel che viene messo nero su bianco è cruciale per le società avanzate.

 

Nell’Europa continentale, cioè nei paesi di diritto civile, il loro ruolo è sempre stato un esempio virtuoso di sussidiarietà orizzontale: professionisti privati investiti di funzioni pubbliche, una “casta” riconosciuta dalla legge da cui questa ha preteso il massimo delle diligenza nella compilazione e nel controllo degli atti più importanti per la vita economica di una società. Non c’è la controprova, ma la sensazione è che in un paese a forte entropia come l’Italia, con una Pubblica amministrazione confusa e opaca, i notai abbiano rappresentato un argine al disordine. La complessità dell’economia globale e la sofisticazione contrattuale rendono quanto mai preziosa la competenza e l’esistenza stessa del signor notaro. Dopo la crisi dei mutui subprime, collassati  per la loro opacità, persino negli Stati Uniti c’è chi ha proposto di importare nella regolazione relativa alle transazioni sugli immobili residenziali e ai mutui alcuni aspetti del notariato latino, quello di Francia, Germania e Italia.
Tutto ciò giustifica forse l’allarme del Far West prossimo venturo lanciato dal notariato per rispondere al ddl Concorrenza del governo?

 

Negli Stati Uniti, dicevamo, si ragiona su un punto: la presenza di notai all’europea – sostengono ad esempio Peter Murray della Harvard Law School o Rongxin Zeng della cinese Jiangxi University – renderebbe le operazioni di richiesta e concessione dei mutui più trasparenti ed efficienti, a prova di bolla e a vantaggio delle parti più deboli ed esposte alle asimmetrie informative?
Eppure, per quanto importanti e apprezzati, i notai non possono opporsi a ogni tentativo di ripensamento e modernizzazione della loro professione. Nei sistemi di diritto comune si riflette sui pro del notariato europeo? E’ dunque opportuno che anche da noi si immagini una maggiore ibridazione con gli altrui modelli. Occorre immettere una maggiore dose di competizione, perché il notaio costa innegabilmente tanto. Secondo il Centre of European Law and Economics, il “prezzo dei timbri” per l’acquisto di una casa nei paesi con notai è superiore di circa il 30 per cento rispetto ai paesi per i quali le compravendite sono disposte da un avvocato semplice. E quanto poi costa alle piccole e medie imprese doversi rivolgere al notaio per questo o quell’atto? La troppa regolazione è una forma ingiustificata di tassazione, in Italia più che altrove.

 

Avendo per anni alzato le barricate contro ogni tentativo di ampliamento della concorrenza “interna” (l’aumento del numero, la competizione interdistrettuale e la liberalizzazione delle tariffe), i notai si sono resi invisi all’opinione pubblica. Nessuno può pretendere di vivere solo di atti pubblici, né di farlo da membri di un club troppo esclusivo, soprattutto in un paese che ha bisogno di ritrovare slancio e vitalità economica. Se i notai avessero avuto maggiore disponibilità alla concorrenza interna, avrebbero forse evitato di doversi confrontare con la nuova filosofia del governo Renzi: la concorrenza “esterna”, cioè la condivisione per legge di una quota del business notarile con gli  avvocati.

 

Nel ddl Concorrenza predisposto dal ministro dello Sviluppo Federica Guidi, si prevede l’esclusione dell’atto pubblico per le compravendite di beni immobili a uso non abitativo di valore catastale inferiore a 100 mila euro. E’ una bella fetta di mercato: secondo le stime di Scenari Immobiliari (elaborate per il Sole 24 Ore), nel 2014 sotto i 100 mila euro si è registrato più dell’80 per cento dei passaggi di mano di negozi, box e capannoni (circa 250 mila unità).

 

C’è poi la previsione che per le famose società a responsabilità semplificata, che i notai finora dovevano costituire gratuitamente, sia sufficiente una scrittura privata. I notai farebbero bene ad accettare le nuove regole. Le compravendite di immobili abitativi meritano una tutela maggiore e lì il notaio resta. Ma per i piccoli atti, sarà l’affidabilità che il mercato delle professioni saprà offrire la maggiore garanzia per i cittadini. Il futuro del notariato dovrà sempre più basarsi sulla consulenza contrattuale o sulla certificazione volontaria di trasparenza e qualità degli atti. E poi ci sono le grandi compravendite immobiliari e il mercato residenziale, quello sì meritevole di tutela. Il reddito dei notai negli anni passati è diminuito considerevolmente, perché in un paese in recessione stanno peggio anche loro. Perché tutti stiano meglio, oggi s’impongono cambi di paradigma. Anche per i notai.

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