Silvio Berlusconi e Matteo Salvini

Politica degli estremi

Claudio Cerasa

Il Cav., Renzi e la Lega come l’Idv di Di Pietro. Non si governa con i girotondi. Il futuro di Forza Italia. Esistono due tipi di partiti: quelli che si danno da fare per andare al governo, che si muovono  all’interno del perimetro del possibile. E quelli che sanno che non andranno mai al governo, che si muovono dunque nel perimetro dell’impossibile

A guardare la piazza che sabato ha accolto a Roma Matteo Salvini, ad ascoltare i programmi della Lega, a studiare la sua collocazione e a mettere assieme a tutto questo la posizione di Forza Italia, persa tra il Matteo di Milano e quello di Firenze, il dialogo e il non dialogo, l’opposizione e la non opposizione, viene naturale fare un parallelo storico tra il centrodestra di oggi e il centrosinistra di qualche anno fa. Ovvero quella coalizione prodiana e post prodiana che aveva costruito la sua immagine politica declinando quasi ed esclusivamente la parola anti. Ieri, nell’epoca del centrosinistra a vocazione dipietrista, l’uomo da “mandare a casa” era Berlusconi. Oggi, nell’epoca del centrodestra a vocazione leghista, l’uomo da “mandare a casa” è ovviamente Renzi. I partiti più estremi all’interno di queste coalizioni ne trarranno beneficio ma i partiti che vanno, come si dice, al rimorchio degli estremi che beneficio ne possono trarre? In altre parole: Forza Italia, partito più di governo che di lotta, non rischia di essere risucchiata via dall’andare a inseguire un partito di lotta e non di governo? La risposta è sì, e per capire il senso (drammatico) di questa risposta bisogna allargare l’obiettivo della cinepresa e comprendere quali sono i due spazi all’interno dei quali si gioca la sfida del consenso nel paese.

 

Esistono due tipi di partiti oggi in Italia e in Europa. Esistono i partiti che si danno da fare per andare al governo, che si muovono con cinica razionalità all’interno del perimetro del possibile e che si contendono uno spazio preciso di elettorato, quello centrale, non quello estremo. Ed esistono poi i partiti che sanno che non andranno mai al governo, che si muovono dunque nel perimetro dell’impossibile, che rinunciano a rappresentare gli elettori centrali e che qualora dovessero ritrovarsi al governo saranno costretti a fare i conti con l’impossibilità delle proprie proposte. Il caso di Syriza – partito al quale si sono avvicinati culturalmente movimenti catalogabili non sotto la categoria destra o sinistra ma sotto la categoria degli “estremi” – è un caso di scuola di come all’interno di una cornice come l’Europa le politiche credibili (e fattibili) non siano quelle populiste. Salvini gioca una partita chiara. La partita di chi ha rinunciato a contendere a Renzi elettori centrali e la partita di chi ha scelto di pescare voti all’interno del secondo cerchio della politica – quello più esterno, quello di proposta, quello della piazza. La partita che in questa fase rischia di non avere senso e di avvantaggiare il partito più estremo, di piazza ma non di governo, è invece quella giocata da Forza Italia.

 

[**Video_box_2**] Inseguire la Lega, confondersi con i suoi simpatizzanti, mescolarsi con il girotondismo, ammiccare alle politiche anti Euro, non riuscire a segnare una distanza tra il partito di governo e il partito non di governo farà perdere centralità all’unico contenitore (Forza Italia) che può parlare agli stessi elettori di Renzi. La Lega trarrà giovamento dall’essere l’Italia dei valori di destra. Forza Italia senza definire la sua posizione diventerà un riflesso della Lega. Orientarsi nell’Italia dei due Matteo è complicato, vero, ma considerando il fattore C di cui gode il governo (contesto economico) non fare qualcosa per mettersi in scia a Renzi e raccoglierne un domani i dividendi, rinunciando a costruire un’identità giocata sull’opposizione dura ma dialogante e non solo intransigente, potrebbe essere un suicidio politico. Renzi non aspetta altro. E, a pensarci bene, forse non aspetta altro anche l’altro Matteo di Milano. Ne vale la pena?

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.