Giorgio Manganelli

Le pene di Manganelli in frac al Nobel e i vantaggi dell'invisibilità

Nicoletta Tiliacos

Non passa giorno, ormai, che non rechi con sé un apocrifo di Elena Ferrante pubblicato da qualche quotidiano, al quale segue subitanea smentita della sua casa editrice.

Roma. Non passa giorno, ormai, che non rechi con sé un apocrifo di Elena Ferrante pubblicato da qualche quotidiano, al quale segue subitanea smentita della sua casa editrice, la e/o, unica abilitata a trasmettere il pensiero e le missive della scrittrice non visibile. E’ soprattutto grazie a questo genere di amenità che la febbre dello Strega (dopo tanti anni ormai ridotta a semplice raffreddore di stagione, breve seppur virulento) sta salendo a temperature inusuali per il periodo ancora invernale, mentre il traguardo di luglio è ancora molto, molto lontano. Ma ormai è fatta: l’autrice della quadrilogia dell’“Amica geniale” parteciperà al premio letterario più chiacchierato d’Italia. E magari vincerà, con ciò restituendogli – se l’è detto da sola su Repubblica, in una delle comunicazioni autorizzate e certificate dalla e/o – trasparenza, senso e nuovo lustro.

 

Comunque finisca, abbiamo capito che la Ferrante non la vedremo nemmeno stavolta. E a lei sarà ancora una volta risparmiata l’incresciosa incombenza della scelta di un abito per la soirée (è uno dei sicuri vantaggi dell’invisibilità). D’accordo, quello dello Strega sarà pure un palcoscenico alieno da ogni etichetta – la seratona finale ricorda sempre un night club all’aperto di inizio anni Sessanta – ma è pur sempre un palcoscenico. E un animo refrattario agli esibizionismi soffre molto, all’idea di mettersi in ghingheri (e un po’ in maschera) per una qualsiasi cerimonia. Fino a che punto, non lo si può capire se non leggendo ciò che a Giorgio Manganelli capitò a Stoccolma, quando fu invitato ad assistere alla cerimonia del Nobel. L’articolo che trasse da quella conturbante esperienza, pubblicato sull’Espresso nel 1975, entrò a far parte di “Antologia privata”, il libro uscito nel 1989 nel quale Manganelli, che sarebbe morto l’anno successivo, aveva raccolto ciò che preferiva tra tutto quel che aveva scritto (il libro è stato ripubblicato da Quodlibet, 266 pagine, 16,50 euro).

 

[**Video_box_2**]Al Nobel, Manganelli era un semplice invitato: le uniche cose che vinse furono, nel 1957, il concorso per diventare insegnante di ruolo di inglese nelle scuole superiori, e nel 1979 il Premio Viareggio, con il bellissimo “Centuria”, pure contentuto in “Antologia privata”. Eppure, quella che doveva essere una interessante escursione nei misteri del premio dei premi e nei suoi rituali antropologici, divenne per Manganelli un incubo, proprio per colpa del vestito da indossare: “Quando mi si propose di andare ad assistere al Nobel, apparve subito il problema del frac”. Si era illuso di farla franca, dato che il frac serviva solo per gli invitati alla cena che segue alla premiazione vera e propria? “Ma non avevo fatto i conti col monotono senso del dovere degli svedesi. Essi trovarono il posto a tavola – il numero novecentoventi – e da quel momento il frac era indispensabile; ora, io non ho mai messo il frac, tanto meno posseduto; e da Svezia a Roma vi fu un febbrile scambio di telefonate, non esenti da panico, attorno al problema del reperimento del frac”. Manganelli se ne procura uno a noleggio, e quando, aiutato dal commesso, lo indossa e si specchia, è come se si vedesse per la prima volta: “Per fare un uomo a quel modo c’erano voluti un generale vittorioso, un vescovo, un finanziere, un gangster degli anni trenta e tre parti di Charles Boyer”. L’euforia dura poco. In albergo, al momento di mettersi sparato, giubbetto, calzini, giacca e cravattino (e al momento di infilare migliaia di bottoni dentro altrettante asole), Manganelli sfiora il collasso (gli succedeva di avere crisi terribili di ansia per molto meno). Poi, chiamato in soccorso il portiere dell’albergo, “al terzo tranquillante ero pronto a entrare nella sala del Nobel”. Troppo tardi per capire che “ulteriore supplizio, per il vergine del frac”, è l’amara constatazione che comanda lui, il frac, e non l’essere umano che vi è contenuto. Non sono ammessi i soliti movimenti, perché quel “misterioso vestito – extraterrestre? – ubbidisce a regole che gli sono del tutto proprie”.
Così il grande Manganelli. Chissà come se la caverebbe, invitata al Nobel (da premiata, s’intende) l’invisibile Ferrante.

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