Esci da questa serie!

Annalena Benini

Niente più pettegolezzi, qualcosa di cui sparlare, aneddoti fantasmagorici sulle vite degli altri, confessioni e bugie, nemmeno goffi tentativi maschili di introdurre l’argomento: moviola in campo, mentre le donne mimano il taglio delle vene.

Niente più pettegolezzi, qualcosa di cui sparlare, aneddoti fantasmagorici sulle vite degli altri, confessioni e bugie, nemmeno goffi tentativi maschili di introdurre l’argomento: moviola in campo, mentre le donne mimano il taglio delle vene. Niente ginocchia che si sfiorano sotto il tavolo, niente discussioni politiche, liti fra coniugi rimandate al ritorno a casa oppure meravigliosamente pubbliche dopo qualche bicchiere di vino (“fallito”, “mitomane”). Le cene vengono distrutte già prima di sedersi a tavola, basta infilare la domanda a bruciapelo: ma lo state vedendo “House of Cards”? C’è sempre qualcuno che risponde: certo, ma le ho viste appena uscite in America, non ditemi vi prego che non state vedendo “Scandal”. La serata è rovinata, come ha scritto il New York Magazine, la conversazione diventa immediatamente triste e noiosa, si deve bere di più per sopportarla. Non importa quanto siano belle, complicate, sconvolgenti le serie televisive americane (“è possibile, poi, che siano tutte belle? o siete tutti voi un po’ rincoglioniti?”, dice lo scettico, quello che rifiuta di investire tredici ore di vita, cioè la durata media di una serie, e moltiplicarle per quattro o cinque stagioni), tutto diventa subito “la versione con cena di un post di Facebook in cui gli ospiti si alternano per cliccare su: mi piace”.

 

E dire che sì, è una fantastica serie, oddio è meravigliosa, è perfetta, e quella puntata, che ovviamente in Italia non s’è ancora vista, è una specie di sintesi di tutto lo splendore dell’universo, e sono stato sveglio tutta la notte, e mia moglie mi ha picchiato perché credeva che fossi uscito di nascosto, invece non mi ero mai mosso dal divano, ero in trance. Il fatto che la maggior parte degli invitati non abbia visto quell’episodio non ha alcuna importanza: sono tenuti comunque, per mostrare uso di mondo, ad almeno quattro o cinque esclamazioni di gioia, stupore, e anche a usare l’espressione “grande letteratura”, al massimo si può azzardare: “Parte un po’ lento, ma poi…”, facendo gesti con le mani e annunciando che si farà passare l’inverno così, a forza di serie (in lingua originale, sennò si perde il gusto) e che non c’è nemmeno più il tempo di tradire i coniugi perché ci si deve tenere al passo con i nuovi episodi. Molti fingono di avere visto tutto quello che non hanno visto, confondono “True Detective” con “Homeland”, oppure si chiudono in un silenzio scocciato e cominciano a sparecchiare la tavola, preferendo mandare messaggi in cucina che gridare: “Sono totalmente ossessionata da quel personaggio”. Alla fine la cena si divide stancamente, senza più vita, senza allegria, senza nemmeno più cercare di capire se quei due hanno una storia segreta, fra quelli che parlano di trame (“non voglio fare spoiler, ma succede questa cosa pazzesca”), quelli che fanno sfoggio di critica televisiva profonda e comparata, non accorgendosi che stanno parlando di “Downton Abbey” a una persona disperata ma beneducata che non ha mai visto “Downton Abbey”, e quelli che non vedono l’ora di andarsene per litigare, maledire “Homeland”, “Empire”, “Scandal”, “The Honourable Woman” e interiormente invocare una dittatura che ripristini soltanto “Dallas”, per sempre.

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  • Annalena Benini
  • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.