La razionalità dei quattrini

Spread basso, e riecco i correntisti greci. Non stupidi questi “mercati”

Marco Valerio Lo Prete

Effetto Draghi. Perché gli speculatori hanno ricominciato a remare nello stesso senso delle leadership politiche.

Roma. Quando qualche anno fa lo spread tra i titoli di stato dei paesi dell’Eurozona e gli omologhi bund tedeschi iniziò a salire incontrollato, mettendo a rischio la sostenibilità del debito pubblico di non pochi stati, non passava giorno senza che leader politico, banchiere centrale o commentatore denunciasse la totale “irrazionalità” del fenomeno, mettendo in guardia (a destra come a sinistra) da chissà quali manovre occulte degli “speculatori”. Oggi invece che lo spread torna a comprimersi, è una gara fra leader europei a intestarsi il risultato. “Abbiamo preso l’Italia per mano e la portiamo fuori dalla palude”, ha detto ieri il premier Matteo Renzi commentando un filotto di buone notizie: spread tra Btp italiani e Bund tedeschi sceso sotto quota 100; poi l’indice di fiducia delle imprese ai valori più alti dal 2011. E ancora non aveva letto, il premier, le previsioni dell’Istat sul pil nel primo trimestre 2015 (più 0,1 dallo scorso anno), né quelle sull’attenuarsi della deflazione in questo inizio anno. Fra i leader europei che possono rivendicare di aver contribuito alla ritrovata quiete finanziaria c’è anche il Parlamento tedesco – osservano gli analisti – che ieri a grande maggioranza ha approvato la proroga degli aiuti alla Grecia. Perfino ad Atene, dove il ministro delle Finanze Yanis Varoufakis dimostra che “un’altra speculazione è possibile” (copyright: il filosofo francese gauchiste Michel Feher), c’è chi potrebbe nobilitare i cedimenti avvenuti nella trattativa con Bruxelles ammantandoli con un po’ di sano realismo in nome della stabilità del’euro.

 

In realtà, così come era largamente esagerata la notizia della morte della razionalità dei mercati nel 2011, oggi non sarebbe saggio legare automaticamente l’andamento dello spread alle sole decisioni delle singole cancellerie. Domani è pur sempre il giorno in cui la Banca centrale europea (Bce), con il Quantitative easing (o allentamento quantitativo), avvierà l’acquisto di titoli di stato dei paesi dell’Eurozona. Al Tesoro, a Roma, ammettono che è questo il motore immobile dell’abbassamento dello spread. Che infatti interessa tutta l’Eurozona. Non mancheranno i critici del “rumore di fondo” volutamente creato dalle Banche centrali, ma finché quel rumore di fondo c’è, diventa legittimo muoversi in accordo con esso.   

 

[**Video_box_2**]Il punto è che gli “speculatori” sono sempre lì, solo che da qualche tempo hanno ricominciato a remare nello stesso senso delle leadership politiche. I mercati non sono entità metafisiche. Semplicemente, i quattrini dei popoli del pianeta – ci sono i grandi capitali, ma pure fondi pensione e risparmi di milioni di cittadini – si sentono garantiti dalla Bce, dalle insperate seppur impercettibili revisioni al rialzo del pil spagnolo e italiano, e da settimane sono accorsi ad acquistare titoli di stato nei paesi periferici dell’Eurozona, o a fare incetta di azioni un po’ più redditizie, e perfino a investire in settori dell’economia reale. Tra loro c’è l’oracolo di Omaha, Warren Buffett, che ora compra pezzi di industria tedesca e scommette sull’immobiliare spagnolo; ci sono i soldi gestiti dal nuovo fondo del premio Nobel per l’Economia Robert Shiller che dice di aver “scommesso giustamente sull’Italia negli scorsi anni”; e via dicendo fino al signor Rossi. “E’ sempre stata esagerata la dietrologia sui mercati. Questi ultimi, che pure non sono estranei a fenomeni di esuberanza irrazionale, stanno reagendo con calma e responsabilità alle condizioni date al momento”, dice al Foglio l’economista di Harvard Alberto Alesina. Così, in una pausa dell’epica sfida tra Alexis Tsipras e Angela Merkel (la seconda ha senz’altro vinto ai punti), anche i correntisti greci indossano i panni di infaticabili sentinelle del mercato. A novembre avevano iniziato ad abbandonare in massa le banche elleniche, di fronte ai primi sondaggi che davano in testa la sinistra radicale di Syriza. In tre mesi, 20 miliardi di euro usciti dai conti. Tuttavia, a tre giorni dal compromesso europeo di lunedì scorso, con Tsipras “tornato alla realtà” (cit. Merkel) e gli aiuti ad Atene prorogati per quattro mesi, i greci hanno già fatto riaffluire 800 milioni nelle loro banche. Chiamali stupidi, i mercati.

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